Jobs Act: come cambiano contratti e lavoro

di Barbara Weisz

Pubblicato 23 Febbraio 2015
Aggiornato 20 Marzo 2015 16:00

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I 4 decreti del Governo in attuazione del Jobs Act: contratto a tutele crescenti e nuovi ammortizzatori al via, approvati il riordino dei contratti e la nuova flessibilità su conciliazione lavoro-famiglia.

Riforma dei contratti (con la nuova disciplina che apre al demansionamento), via libera definitivo al nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (con le novità in materia di licenziamenti) e ai nuovi ammortizzatori, misure di flessibilibità su conciliazione tempi lavoro-famiglia, a partire da congedi di maternità, paternità e parentali: il Consiglio dei Ministri di venerdì 20 febbraio ha approvato in un solo colpo ben quattro decreti attuativi del Jobs Act, la legge delega di Riforma del Lavoro. Due sono quelli che erano stati approvati a fine dicembre, su contratto a tutele crescenti e nuovi ammortizzatori, che ora hanno terminato il breve passaggio per il parere in Commissione e diventano, quindi, operativi (si attende solo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale). Gli altri due, invece, rappresentano l’esercizio di nuove nuove deleghe. Vediamo tutto.

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Jobs act: il riordino dei contratti

Il decreto legislativo con il “Testo organico semplificato delle tipologie contrattuali e revisione della disciplina delle mansioni” è forse il provvedimento più atteso. Questo elimina quasi definitivamente i contratti di collaborazione a progetto, che a partire dal primo gennaio 2016 si trasformeranno in contratti a tempo indeterminato, restano alcuni tipi di collaborazione coordinata e continuativa, legati a particolari settori (ad esempio i call center) o tipologie professionali (i professionisti iscritti agli Ordini). In estrema sintesi, la regola è la seguente: quando il decreto entrerà definitivamente in vigore (fra un paio di mesi), le imprese non potranno più stipulare nuovi contratti di collaborazione a progetto, mentre quelli in essere proseguiranno fino alla loro scadenza. Poi, dall’1 gennaio 2016, i contratti di collaborazione «con contenuto ripetitivo ed etero-organizzati dal datore di lavoro» dovranno diventare rapporti a tempo indeterminato ai quali si applicheranno quindi le nuove tutele crescenti.

Spariscono il contratto di associazione in partecipazione con apporto di lavoro e il job sharing. Resta sostanzialmente immutato, rispetto al decreto Poletti del 2014, il contratto a tempo determinato (che quindi è applicabile per 36 mesi, tre anni, senza causale). È ampliato il contratto di somministrazione a tempo indeterminato (staff leasing), che non necessita più di causali e si può stipulare con un limite fissato al 10% del totale dei contratti a tempo indeterminato esistenti in azienda.

Novità sul part-time: in mancanza di regole precise fissate dai contratti collettivi, vengono stabilite per legge le modalità applicative: il datore di lavoro può chiedere al lavoratore lo svolgimento di lavoro supplementare, le parti possono pattuire clausole elastiche e flessibili in materia ad esempio di orario di lavoro. Viene infine previsto per il lavoratore il diritto a chiedere il part-time per necessità di cura connesse a malattie gravi o in alternativa al congedo parentale.

Lavoro accessorio: elevato a 7mila euro il tetto massimo dell’importo, viene introdotta la tracciabilità con tecnologia sms come per il lavoro a chiamata.

Confermato l’impianto generale dell’apprendistato, con alcune semplificazioni (ad esempio sull’apprendistato di primo livello per il diploma e la qualifica professionale, con una riduzione di costi per le imprese).

=> Jobs Act, i nuovi contratti secondo le PMI

Demansionamento

La nuova discplina delle mansioni è sempre contenuta nel decreto sul riordino dei contratti. In pratica, come previsto dalla legge delega, si introduce la possibilità di demansionamento del lavoratore (oggi vietata dallo Statuto dei Lavoratori). In particolare, in presenza di ristrutturazione aziendale e in altri casi individuati dai contratti collettivi, l’impresa può modificare le mansioni del dipendente, limitatatamente a un livello e senza diminuire lo stipendio. È anche possibile contrattare individualmente con il dipendente (in sede protetta, quindi attraverso una specifica procedura) modifica delle mansioni e del livello di inquadramento (e di retribuzione), «nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita».

Conciliazione dei tempi di vita e lavoro

Un’altra delega interviene sui congedi di maternità, paternità e congedi parentali e introduce novità in materia di telelavoro e donne vittime di violenza di genere. Per quanto riguarda i congedi di maternità, diventa più flessibile la possibilità di godere dei giorni di astensione obbligatoria non goduti in caso di parto prematuro, che possono essere fruiti successivamente, anche superano il limite dei cinque mesi. Prevista la possibilità, per la madre, di sospendere la maternità in caso di ricovero del neonato (previo certificato medico che attesti la buona salute della madre).

Il congedo di paternità è esteso a tutti i lavoratori (ora è previsto solo per i dipendenti): anche gli autonomi quindi possono utilizzarlo, nel caso in cui la madre non usufruisca del congedo di maternità.

Il congedo parentale è esteso ai primi 12 anni di vita del bambino (dagli attuali otto). Ampliati anche il congedo parzialmente retribuito al 30%, dagli attuali tre anni a sei anni di vita del bambino, e quello non retributo, fino a 12 anni di vita del bambino (dagli attuali sei). Infine, sono introdotte nuove norme per tutelare la genitorialità in caso di adozioni e affidamenti prevedendo estensioni di tutele già previste per i genitori naturali.

In tema di telelavoro, previste agevolazioni per i datori di lavoro privati che lo concedano andando incontro alle esigenze di cure parentali dei dipendenti.

Infine, è previsto un nuovo congedo, di tre mesi, per le donne vittime di violenza di genere e inserite in percorsi di protezione debitamente certificati. La lavoratrice (dipendente o collaboratirce a progetto) mantiene l’intera retribuzione, la maturazione delle ferie e degli altri istituti connessi, e ha il diritto di chiedere la trasformazione del contratto in part-time.

Contratto a tutele crescenti

Sul contratto a tutele crescenti non ci sono novità rispetto al testo approvato a fine dicembre, semplicemente è terminato l’iter del decreto che ora per l’operatività attende solo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Dal momento dell’entrata in vigore, le aziende potranno iniziare ad applicare il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, con la nuova disciplina in materia di licenziamenti. Molto sinteticamente, il reintegro nel posto di lavoro resta solo per i licenziamenti nulli o disciminatori, mentre per i licenziamenti economici e disciplinari è sostituito con un’indennità commisurata all’anzianità di servizio: due mensilità per ogni anno di lavoro, con un minimo di quattro e un massimo di 24 mensilità (nelle piccole imprese, un mese per ogni anno di anzianità, con un minimo di due e un massimo di sei mensilità). Introdotta una nuova procedura di conciliazione, che evita un successivo passaggio in giudizio (il lavoratore accetta un risarcimento, pari a un mese per ogni anno di anzianità, con un minimo di due e un massimo di 18 mensilità, del tutto esente da tasse e contributi, e in cambio si impegna a non fare ricorso).

=> Licenziamento e conciliazione: le novità del Jobs Act

Licenziamenti collettivi

La nuova disciplina sui licenziamenti collettivi è anch’essa contenuta nel decreto sul nuovo contratto a tutele crescenti e prevede, per gli assunti a tutele crescenti, l’indennizzo al posto del reintegro con le stesse modalità previste dai licenziamenti individuali (due mensilità per ogni anno di anzainità, con un minimo di quattro e un massimo di 24 mensilità).

Ammortizzatori sociali

Anche quello sugli ammortizzatori sociali è il decreto approvato a fine dicembre, che ora ha terminato l’iter di consultazione alle camere e sarà quindi operativo con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Introduce la NASpI, nuova assicurazione sociale per l’impiego che sostituisce ASpI e mini ASpI, per chi perde il lavoro a partire dal primo maggio 2015, abbia almeno 13 settimane di contribuzione negli ultimi quattro anni e almeno 18 giornate effettive di lavoro negli ultimi 12 mesi. La somma riconosciuta dipende dalla retribuzione, non può superare i 1300 euro al mese, si riduce del 3% dopo i primi quattro mesi. Dura 24 mesi (che scendono a 18 dal 2017).

Arriva anche, in via sperimentale per il 2015, l’ASDI, ovvero l’assegno di disoccupazione per chi non trova lavoro dopo che scede la NASpI. Dura ulteriori sei mesi, è pari al 75% della NASpI.

Infine, introdtta la Dis-col, ovvero la disoccupazione per i collaboratori coordinati e a progetto che abbiano almeno tre mesi di contribuzione nel periodo che va dal primo gennaio dell’anno precendete alla perdita del lavoro alla data in cui interviene la disoccupazione. Dura la mssimo sei mesi, il trattamento è rapportato al reddito.

Per approfondimenti: