Omesso versamento ritenute: crisi e assenza di dolo

di Filippo Davide Martucci

24 Giugno 2015 10:00

L'omesso versamento di ritenute è un reato tributario sanzionabile fino alla reclusione: in caso di crisi di liquidità, il Giudice può escludere il dolo ma è necessario comprovarlo.

Il reato di omesso versamento di ritenute di cui all’art. 10-bis, D.Lgs. 74/2000 è stato introdotto nell’ordinamento penale tributario con Finanziaria 2005 (art. 1, co. 414, L. 311/2004). Secondo la norma, qualunque sostituto d’imposta che non abbia versato le ritenute attestate dalla propria certificazione per una somma superiore a 50.000 euro calcolata su ciascun periodo d’imposta, entro la scadenza prevista per la dichiarazione annuale di sostituto, è punito con un periodo di reclusione compreso tra 6 mesi e 2 anni. Secondo la Cassazione, neanche l’esistenza di crediti vantati può esonerare l’impresa dall’adempimento tributario. Per la Suprema Corte, infatti, la prova del dolo si realizza quando viene rilasciata al sostituto d’imposta la certificazione e presentata la dichiarazione annuale attestante le ritenute effettuate prevista dal Mod. 770. Il sostituto è dunque obbligato a mettere da parte le somme che deve al Fisco, accantonando le risorse necessarie ad adempiere ai suoi obblighi. Tuytti i dettagli sono contenuti nella Sentenza 5477/2014, relativo al ricorso di una imprenditrice condannata per aver versato in ritardo le ritenute per crisi di liquidità (mancato pagamento PA).

 

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Onere della prova

Solo il Giudice ha la possibilità insindacabile di avvallare l’assenza del dolo e l’impossibilità di assolvere l’obbligo in sede di legittimità, caratteristica che assume sempre maggiore importanza in tempi di crisi, che finiscono per bruciare anche le risorse che devono obbligatoriamente essere versate al Fisco. È necessario però che siano stati assolti gli oneri di allegazioni, vale a dire che si dimostri che la crisi di liquidità non sia imputabile all’imprenditore e non sia stato possibile affrontarla ricorrendo a idonee misure concretamente valutabili provando che, come riportato dalla Cassazione:

“non sia stato possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a garantirgli il corretto puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo poste in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili”.

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Tornando al caso di specie, secondo i Giudici l’imprenditrice non aveva assolto gli oneri di allegazioni: non ha dimostrato che il ritardo fosse ascrivibile al mancato pagamento di crediti liquidi ed esigibili; non ha comprovato la natura dei crediti vantati e l’esistenza improvvisa della crisi di liquidità (dai bilanci si evinceva una crisi consolidata nel tempo); non sono state adottate misure per accantonare le risorse.