Il rimprovero in ufficio

di Teresa Barone

27 Marzo 2015 11:00

Redarguire un dipendente senza demotivarlo: ecco come rendere la conversazione utile e produttiva.

Rimproverare spesso e pubblicamente un dipendente è un atteggiamento assimilabile al mobbing, soprattutto se i toni sono molto aspri e vessatori. Un comportamento da non confondere con il semplice richiamo nei confronti di un lavoratore, che si rende necessario per garantire la corretta esecuzione delle mansioni e il raggiungimento degli obiettivi.

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Segnalare a un collaboratore che il suo lavoro non è svolto al meglio, tuttavia, crea disagio e rischia di demotivare se la conversazione non è gestita al meglio. Il primo passo è identificare il problema, cercando di capire se esistono criticità e ostacoli specifici o se a causare l’inefficienza è stata una distrazione, troppa pressione, semplice stanchezza o una latente insoddisfazione.

Quando si affronta faccia a faccia un dipendente da “rimproverare”, inoltre, è opportuno scegliere un luogo riservato evitando sfuriate plateali, concedendo al colloquio tutto il tempo necessario per sviscerare il problema senza essere interrotti.

Per rendere l’incontro realmente costruttivo è certamente inutile focalizzarsi sulle colpe, cercando invece di delineare quanto accaduto in modo obiettivo ascoltando la versione del proprio interlocutore senza interromperlo, al fine di far emergere le sue responsabilità.

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L’obiettivo del colloquio, infatti, è quello di evitare che quanto accaduto si ripeta partendo da un nuovo accordo che sia chiaro e preciso, uno presupposto possibile per andare avanti e potenziare al massimo l’efficienza e la produttività del lavoratore.