L’allarme arriva dalla Francia, tra i paesi europei caratterizzati da un sempre maggior numero di episodi di discriminazione sul posto di lavoro: ad aumentare non è solo la discriminazione, per razza, sesso o altro, ma anche la rassegnazione di chi la subisce.
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Ad affermarlo è un terzo dei lavoratori interpellati nel corso di un’indagine realizzata dall’Ifop e promossa per il settimo anno consecutivo dall’autorità Garante dei Diritti in collaborazione con l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO). Un lavoratore su tre ammette di essere stato vittima di discriminazioni sul lavoro, ma allo stesso tempo afferma di non aver reagito ai soprusi.
La ricerca, condotta su un campione di 1004 individui impegnati nella ricerca di un lavoro, focalizza l’attenzione sulle motivazioni che si celano dietro i comportamenti discriminatori: se al primo posto continua a posizionarsi il genere sessuale (29% nel settore pubblico e 31% nel privato) – le donne continuano a essere penalizzate sia nella carriera sia nelle retribuzioni – anche le origini etniche sembrano dare vita a non pochi episodi spiacevoli (16% e 27%), così come l’aspetto fisico (22% e 19%), la fede religiosa, la nazionalità e perfino la maternità.
Jean-François Trogrlic, direttore del comparto ILO in Francia, sottolinea come la discriminazione basata sull’aspetto fisico sia ancora fortemente evidente nelle procedure di selezione del personale: è proprio a causa dell’importanza che i canoni estetici rivestono nella società attuale che un responsabile delle risorse umane tende sempre a scegliere il candidato che si presenta meglio, anche a parità di competenze.
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Interessante anche l’opinione del Garante Dominique Baudis, secondo il quale sono numerose le aziende che ancora “obbediscono” a precisi stereotipi nelle procedure di selezione soprattutto quando si tratta di risorse molto giovani e ancora di più in tempo di crisi.