Lavorare su turni per un periodo prolungato di tempo nuoce all’attività cerebrale, portando a un graduale declino delle capacità mnemoniche e cognitive.
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In sostanza, svolgere il proprio lavoro su turni, per almeno dieci anni, alternando mattina, pomeriggio e notte interrompe il proprio orologio interno: ad affermarlo sono i ricercatori delle Università di Tolosa e Swansea, autori di uno studio che ha indagato sulle possibili conseguenze delle varie “rotazioni di orario” che caratterizzano numerose professioni.
Se da un lato gli studiosi hanno ipotizzato che questi effetti negativi possano essere causati da una carenza di vitamina D, inevitabile a causa della ridotta esposizione alla luce solare, dall’altra parte sembra che il processo di invecchiamento cerebrale non sia irreversibile. Smettere di lavorare su turni, infatti, aiuterebbe a favorire il miglioramento delle funzioni cognitive.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Occupational and Environmental Medicine, focalizza tuttavia l’attenzione sulle possibili conseguenze di questo legame tra turni e benessere mentale dal punto di vista non solo della sicurezza sul lavoro ma anche della qualità della vita dei lavoratori:
«Il deficit cognitivo osservato in questo studio potrebbe avere importanti conseguenze per la sicurezza non solo relativa alle persone interessate, ma anche alla società nel suo complesso, dato il numero crescente di posti di lavoro che richiedono mansioni ad alto rischio eseguite durante la notte.»
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Il suggerimento che arriva dai ricercatori, quindi, è quello di promuovere controlli periodici per garantire la salute e la sicurezza del personale che opera su turnazione.