Il manager migliore? Più è cattivo meglio è

di Andrea Barbieri Carones

6 Ottobre 2011 10:00

Uno studio effettuato negli Usa mostra che i capi aziendali duri e grintosi (o anche cattivi) sono più stimati e seguiti di quelli più "buoni".

Il mondo è dei furbi, si dice in alcune occasioni. La cosa è particolarmente vera nelle attività lavorative, soprttutto quando oltre alla furbi  sono cattivi e non hanno perlo sullo stomaco. Se in apparenza certi personaggi di questa stoffa sono mal sopportati nell’ambiente di lavoro, una ricerca effettuata negli Stati Uniti rivela che i capi aziendali carismatici non hanno l’altruismo di Madre Teresa di Calcutta o di Geppetto ma piuttosto hanno la grinta e la “cattiveria” dell’attore che intrepretava JR nella serie Dallas o dell’allenatore di calcio Josè Mourinho.

Questo risultato, che potrebbe sembrare cinico, mostra invece che quando le situazioni in azienda si fanno difficili occorre quella giusta dose di cattiveria per portare la “barca” in acque tranquille.

Lo studio è stato co-firmato da due ricercatori: Nir Halevy, assistente professore alla Stanford Graduate School of Business, e Robert Livingston, della Kellogg School of Management, Northwestern University, entrambe nella zona di Chicago. Lo studio mostra in particolare che le persone buone, comprensive e “belle dentro” sono valutate positivamente dal punto di vista personale, ma sono valutate mediamente come deboli e incapaci di gestire situazioni di emergenza dove servono delle decisioni rapide e magari anche dolorose. Insomma: non sono dei leader forti e per questo vengono considerati dei leader desiderabili in contesti non competitivi.

“I nostri risultati mostrano che i dipendenti delle aziende – o anche i sottoposti nelle gerarchie militari – preferiscono i capi con il cuore in mano in occasioni tranquille o dove non serve essere competitivi, ma quando il gioco si fa duro, amano essere guidati da dei duri, con personalità dominante” ha detto Nir Halevy.

Molti nemici, molto onore dunque? “In un certo senso sì” aggiunge Robert Livingston, che spiega che “la generosità di un capo fa diminuire la percezione di prestigio e di dominio, mentre mostrarsi egoisti, assillanti e pronti al confronto diretto con le armi (in senso figurato) porta al rispetto di colleghi e sottoposti”. E questo, il signor Al Capone lo aveva già intuito proprio a Chicago un’ottantina di anni fa.