


Secondo l’ISTAT, in Italia è aumentato il numero degli occupati e le retribuzioni sono cresciute più dell’inflazione ma il reddito da lavoro ha perso oltre sette punti di potere d’acquisto rispetto a 20 anni prima. In calo anche la produttività, sebbene nell’ultimo quinquennio abbia contribuito alla crescita del valore aggiunto nei settori ad alta tecnologia.
Il mondo del lavoro riflette inoltre il trend di invecchiamento della popolazione: fra il 2011 e il 2022 è quasi raddoppiata l’incidenza dei lavoratori di 55 anni e più in rapporto a quelli con meno di 35 anni. Interessante il dato relativo alla correlazione fra l’età dei lavoratori e quella dell’imprenditore: se quest’ultimo è over 65, è più alta anche l’età dei dipendenti, mentre viceversa le startup tendono ad assumere persone con meno di 35 anni.
Vediamo con maggior precisione la fotografia scattata dal Rapporto ISTAT 2025 sulla situazione del Paese.
Retribuzioni: reddito reale in forte calo
L’occupazione nel 2024 è cresciuta dell’1,5% trainata dall’aumento dei dipendenti a tempo indeterminato. Gli occupati sono aumentati di 352mila unità, mentre i disoccupati si sono ridotti di 283mila. Nel corso dell’anno, le retribuzioni nominali sono cresciute più dell’inflazione, consentendo un parziale recupero della perdita di potere di acquisto del biennio 2021-2022. A fine 2024 la crescita delle retribuzioni contrattuali per dipendente è stata pari al 10,1% rispetto all’inizio del 2019, a fronte di un aumento dell’inflazione (21,6%). Il trend è rimasto positivo nei primi mesi del 2025.
Il reddito reale da lavoro per occupato è più elevato rispetto al 2014, l’anno di minimo dopo la Grande recessione degli anni precedenti, ma più basso del 7,3% rispetto al 2004 (-5,8% per i dipendenti), per la perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione, con riduzioni in tutte le classi d’età.
Il lato positivo è che il potere d’acquisto del reddito familiare equivalente, sempre rispetto al 2004, è invece aumentato del 6,3% grazie ai cambiamenti demografici (in particolare, la riduzione della quota di famiglie con figli), all’aumento del numero di componenti occupati e alla maggior diffusione della proprietà della casa di abitazione.
Produttività: solo la tecnologia crea valore
La produttività del lavoro resta un fattore critico: nel 2024 si è ridotta del 2%, la produttività del capitale dello 0,2% e la produttività totale dei fattori (PTF) dell’1,3%. Nel periodo 2019-2024 la PTF ha invece contribuito per 0,6 punti percentuali annui alla crescita del valore aggiunto, aumentato soprattutto nei settori ad alta tecnologia, sia dell’industria (+17,1%) sia dei servizi (+19,8%). Nei settori ad alta tecnologia tra il 2021 e il 2023 è cresciuto soprattutto il numero di imprese medie (tra 50 e 249 addetti) e grandi (oltre 250 addetti) sia nei servizi (+16,8 e +12,1%), sia nella manifattura (+6,4 e +0,9%).
Le multinazionali estere hanno un ruolo importante nello sviluppo di questi comparti: le imprese controllate da gruppi esteri originano circa il 60% della spesa in Ricerca e sviluppo nella manifattura ad alta tecnologia e più del 40 per cento nel caso dei servizi (contro poco più del 25 per cento per l’insieme delle attività economiche), e generano il 68 per cento delle esportazioni e il 77 per cento delle importazioni di prodotti ad alta tecnologia.
L’Italia continua tuttavia a scontare un forte ritardo nella dotazione di capitale umano qualificato: nel 2023 gli occupati laureati e/o impiegati come professionisti o tecnici (risorse umane in scienza e tecnologia) rappresentavano circa il 40% del totale, 10 punti percentuali in meno rispetto a Germania e Spagna e 17 nei confronti della Francia.
Imprese e lavoro: invecchia la popolazione attiva
Le dinamiche demografiche e dell’istruzione della popolazione si riflettono in misura differenziata nel sistema economico. Per il complesso delle attività, tra il 2011 e il 2022 l’età media degli occupati è aumentata di 2,4 anni, ed è quasi raddoppiata l’incidenza dei lavoratori oltre i 55 anni in rapporto a quelli con meno di 35 anni: è passato dal 53 al 98,6%.
C’è una correlazione fra l’età degli imprenditori e dei dipendenti: nelle imprese con imprenditori di 65 anni e oltre i dipendenti di almeno 55 anni si equivalgono con quelli di meno di 35 anni, mentre in quelle con imprenditori fino ai 45 anni il rapporto scende sotto il 40 per cento. Il 30,2% delle imprese è a rischio di mancato ricambio generazionale, situazione che si verifica con un rapporto tra addetti over 55 anni e under 35 anni superiore a 1,5. Si tratta comunque di una criticità fortemente concentrata nelle micro imprese con meno di tre addetti, mentre riguarda solo lo 0,8% di quelle di medie e grandi dimensioni.
Le startup invece privilegiano i giovani, soprattutto nelle attività intense in conoscenza: nel 2022 gli occupati sotto i 35 anni di età, che in media sono pari al 24% del totale, raggiungevano il 36% nelle imprese con meno di cinque anni e quasi il 40% nelle attività dei servizi ad alta tecnologia. In queste ultime, gli imprenditori sotto i 35 anni rappresentano il 26,6%, rispetto all’11,8% in totale.
Il capitale umano giovane risulta un fattore chiave per la digitalizzazione e la crescita: l’aumento di un punto nella quota di giovani (sotto i 35 anni) sul totale degli addetti laureati ha migliorato di oltre un punto percentuale la probabilità di successo nell’adozione delle tecnologie prima della crisi pandemica e il livello dell’occupazione e del fatturato nel periodo 2018-2022.
Tutti i dettagli nel rapporto integrale ISTAT.