I manager? Più felici nella vita che nel lavoro

di Andrea Barbieri Carones

18 Maggio 2012 08:00

Un sondaggio tra manager italiani mostra che sono più felici della propria vita personale che in quella lavorativa; il futuro? C'è incertezza.

I manager italiani sono più felici della propria vita familiare che in quella del lavoro, come dimosta una indagine di Manageritalia su oltre 1.000 dirigenti in attività, alle prese con i rilanci delle aziende che sono chiamati a guidare.

Il 62% dei manager intervistati si dichiara felice della vita professionale, l’83% complessivamente felice della propria vita. Il 37% non sa se nei prossimi 3 anni sarà più o meno felice, il 14% crede che lo sarà meno, il 27% come oggi e il 19% di più.

Questo emerge dall’indagine condotta da Doxametrics per Manageritalia, fortemente voluta dal Gruppo Giovani di Manageritalia Milano per capire alcuni aspetti importanti per la ripresa: oggi i dirigenti sono “felici” professionalmente e personalmente? Come vivono il loro ruolo in azienda, in un momento dove c’è tanto bisogno di serrare le fila e assumersi responsabilità e rischi per tornare a crescere?

La felicità prospettica è comunque positiva, dettata anche dalla responsabilità di tenere alto il morale, come spetta a chi vuole guidare persone e aziende, nonostante sia affacci la consapevolezza di un futuro professionale e personale ancora più incerto e per nulla accomodante. Infatti, nei prossimi 3 anni solo il 25% crede che avrà un miglioramento professionale e il 15% migliori opportunità occupazionali, il 13% spera in una maggiore sicurezza economica e solo 1 dirigente su 10 pensa che il tenore di vita suo e della sua famiglia migliorerà.

Da cosa dipende l’incertezza nel futuro? Certamente dalla situazione generale e da una fiducia in calo, ma anche da fattori fortemente legati alla professione. Il 73% degli uomini e il 76% delle donne dirigenti crede che il proprio futuro professionale sia incerto e non dipenda solo dalle proprie capacità e competenze.

Ma una cosa emerge su tutte ed è la consapevolezza di avere capacità e sufficiente aggio per guidare aziende e persone (delega in azienda 76%, rapporti colleghi 75% e collaboratori 73%), di doversi gestire sempre più autonomamente il futuro professionale (56%), ma anche di dover operare in un contesto dove, per cause sistemiche strutturali e ora anche congiunturali legate alla gravissima crisi, c’è troppa attenzione al breve periodo e manca una visione di lungo (78%).

Insomma, una sensazione di non poter dispiegare appieno il proprio ruolo, che è quello di far crescere aziende e persone e creare valore e non di tirare i remi in barca. Ecco, questo fastidio, denunciato a gran voce, per un de minimis che non da futuro ci rassicura sul fatto che lotteranno per cambiare le cose a partire da qui e quindi per disegnare un futuro migliore.

“Oltre a troppi manager licenziati e disoccupati – dice Guido Carella, presidente Manageritalia – come tanti italiani, molti di più per fortuna sono in azienda a lottare quotidianamente per aumentare fatturato e occupati: 123mila dirigenti del settore privato – retribuzione media 100 mila euro lordi all’anno (4.000 euro netti al mese) – che tutti i giorni insieme agli imprenditori e a agli italiani che lavorano non si danno per vinti e si assumono responsabilità e rischi per fare l’impresa. È su questi, sulle loro capacità di lottare, che dobbiamo contare per poter ridare slancio all’economia, per far sì che aumentino fatturati e occupazione, per dare speranze e un futuro migliore a tutti quelli che oggi soffrono di più, chi ha perso un posto e fa fatica a ritrovarlo (giovani e over 50 su tutti) e chi un posto non lo ha mai avuto ma ha diritto ad averlo, giovani e donne in testa”.