10 cose che il manager non vuole sentirsi dire

di Chiara Basciano

13 Febbraio 2013 14:00

Ovvero quando essere a capo di un team può rivelarsi davvero difficile.

Un interessante articolo di Brooke Howell su Monster.com stila una lista delle dieci cose che un manager non vorrebbe mai sentirsi dire da un suo dipendente, prendendo spunto da “45 Things You Do That Drive Your Boss Crazy – And How to Avoid Them”, di Anita Bruzzese. E chissà quante volte tutte queste frasi sono entrate nelle orecchie di chi legge…

Al numero uno: “Non è colpa mia”, ovvero il tentativo infantile di scaricare su altri (o sul destino crudele) le proprie responsabilità. Un grande classico anche la seconda frase: “Non è compito mio”, ovvero quando attenersi alla lettera al contratto toglie la possibilità di risultare collaborativi, e chissà forse anche quelle di fare carriera. Sul podio anche: “Ci deve essere stato un problema di comunicazione”, un must di quest’era, frase spesso usata per pura giustificazione, magari proprio di fronte all’ingiustificabile.

Come nel caso delle successive frasi elencate dalla Howell, che sfiorano il ridicolo. “Mi sto riprendendo dai bagordi di ieri sera” è una di queste, così come “Non sopporto Tizio o Caio”, con i conflitti personali che oscurano la capacità di produrre. “Sono malato, non posso lavorare” è invece una frase pericolosa in questa fase altamente tecnologica, visto che le tante applicazioni mobile potrebbero facilmente rivelare dove si è, se non si sta realmente nel letto col termometro in bocca.

Al numero sette la tendenza a parlare troppo o troppo poco, costringendo alla pazienza o all’imbeccata continua, mentre “Brontolii e lamentele” sulla situazione attuale dell’azienda, senza l’apporto di soluzioni, finiscono al numero otto. Chiudono questa bizzarra classifica: “Mi serve un aumento”, a cui va almeno il premio della faccia tosta, e “Se è così, me ne vado”, che rischia molto spesso di provocare come risposta solamente un: “Prego, si accomodi”…