L’insicurezza lavorativa non porta ad accettare condizioni più difficili pur di mantenere il posto, o almeno così dovrebbe essere in un rapporto sano con il proprio lavoro.
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Di certo la tempesta scatenata dalla crisi ha cambiato gli scenari, facendo vacillare la qualità del lavoro e, di conseguenza, della vita. Il professore Duncan Gallie ha analizzato proprio l’evolversi di questo scenario nel libro “Qualità del lavoro e della vita lavorativa.Cosa è cambiato e cosa sta cambiando”.
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Secondo il suo studio tra il 2007 e il 2010 si è verificato un miglioramento delle condizioni di lavoro per le professioni di alto livello, ma a scapito di quelle di livello baso ed intermedio. Sono le professioni altamente qualificate ad avere la meglio, eppure, nonostante ce ne sia gran bisogno, la formazione non ha la fortuna che meriterebbe. Tagliata soprattutto nei paesi mediterranei continua ad avere un ruolo centrale solo nei paesi nordici.
L’intensità del lavoro è certamente ciò che fa la differenza nella qualità lavorativa e purtroppo se ne registra una crescita, visto le drastiche riduzioni di personale. La Francia, e l’area mediterranea in generale, risulta essere il paese con un malessere psicologico legato al lavoro molto alto, mentre l’area scandinava è stabile. Il disagio, naturalmente, è percepito in maniera più intensa dai lavoratori senza contratti fissi, in particolare dalle donne, meno fiduciose riguardo alla loro condizione lavorativa.
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Lo studio di Gallie riguarda tutti i paesi dell’Unione Europea e dimostra come ci siano delle macro aree che tendono ad avere la stesse risposte psicologiche alla crisi.