

Si moltiplicano le iniziative aziendali volte a promuovere e valorizzare le diversità, contrastando qualsiasi forma di discriminazione sul lavoro: l’Italia, tuttavia, è ancora lontana dal diventare un Paese aperto e caratterizzato una cultura inclusiva.
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Lo si evince dall’indagine promossa da Randstad, il Workmonitor trimestrale realizzato in 33 Paesi mondiali. Se l’87% dei lavoratori intervistati ammette di apprezzare la diversità in ambito professionale, il 72% sostiene che i datori di lavoro siano sulla buona strada (un dato di poco inferiore alla media mondiale, pari al 77%, e lontano dalla percentuale relativa al Nord Europa, vale a dire 81%).
Un preoccupante 27%, tuttavia, racconta di aver subito personalmente discriminazioni sul lavoro, spesso relativi alle differenze di genere ma anche all’orientamento sessuale o religioso, così come all’etnia di appartenenza.
«La fotografia scattata dal Workmonitor sulla discriminazione nei luoghi di lavoro – sottolinea Valentina Sangiorgi, Hr Director di Randstad Italia – ci restituisce, secondo il punto di vista dei lavoratori italiani, la prospettiva di una cultura generalmente aperta e inclusiva. Una buona notizia per il business, poiché molti studi hanno dimostrato come team diversificati producano migliori prestazioni e maggior coinvolgimento dei dipendenti. Ma la nostra indagine avverte anche sul fatto che, in Italia come in tutto il mondo, una cultura improntata all’inclusione non è sufficiente a metterci al riparo da esperienza di discriminazione, che si riscontrano ancora con troppa frequenza. Le organizzazioni devono impegnarsi per superare ogni forma discriminatoria, con il coinvolgimento di tutti i livelli aziendale»