Opzione Donna, APE Social e Quota 100: le novità 2020

di Barbara Weisz

Pubblicato 16 Ottobre 2019
Aggiornato 21 Ottobre 2019 14:19

Pensioni in Legge di Bilancio 2020: proroga Opzione Donna e APE Social, invariata Quota 100 con riforma nel 2021, blocco scatti confermati, mini-rivalutazione assegni.

Alla fine, Quota 100 resta invariata almeno per il 2020: in Legge di Bilancio non ci sono modifiche alle finestre di decorrenza della pensione né un’abolizione anticipata rispetto alla scadenza naturale del 2021. Come preannunciato, vengono invece prorogate di un anno sia l’Opzione Donna sia l’APE Social. Infine, è stata annunciata la rivalutazione piena per i trattamenti fra tre e quattro volte il minimo.

Sono i provvedimenti in materia previdenziale adottati dal Governo per il prossimo anno e inserite nella manovra 2020, in attesa di una più corposa riforma pensioni da definire assieme alle parti sociali per il 2021.

=> Legge di Bilancio 2020 approvata: le misure

Questo, in base alle prime informazioni contenute nei comunicati del Governo e nelle dichiarazioni dei ministri dopo il CdM del 15 ottobre, che nella notte ha approvato numeri e misure dalla Finanziaria 2020 (disegno di legge di Bilancio e decreto fiscale collegato). Intanto è stato inviato a Bruxelles il Dpb (Documento programmatico di bilancio), che contiene in linee generali la Manovra vera e propria.

Pensioni 2020

Vediamo esattamente come si articolano gli interventi (pochi) di riforma pensioni partendo da Quota 100, che come detto resta invariata. Dunque, si potrà continuare ad andare in pensione con 62 anni di età e 38 anni di contributi fino al 31 dicembre 2021 (la quota 100 è una misura sperimentale per un triennio introdotta dalla manovra 2019).

E non bisognerà aspettare tre mesi in più per la decorrenza del trattamento, quindi niente finestre di uscita aggiuntive rispetto all’attuale legge. Entrambe le proposte di modifiche sopra riportate, esaminate nel corso del dibattito, sono state accantonate.

Resta comunque alta l’attenzione su come potrà variare il sistema previdenziale prima della scadenza della norma, che a legislazione invariata provocherebbe uno “scalone” nel 2022, quando ci vorranno 5 anni in più per andare in pensione (con il trattamento di vecchiaia, che richiede 67 anni), oppure la maturazione del requisito pieno per la pensione anticipata (42 anni e dieci mesi, uno in meno per le donne).

L’obiettivo del Governo è quello di intervenire nei prossimi anni, prima della scadenza di fine 2021, con una riforma pensioni complessiva del sistema che aumenti la flessibilità in uscita.

Non ci sono marce indietro sulla pensione anticipata senza applicazione degli scatti di aspettative di vita fino al 2026, quindi anche in questo caso le regole restano immutate: il requisito resta a 42 anni e dieci mesi per gli uomini e 41 anni e dieci mesi per le donne.

Proroga Opzione Donna e APE Social

Non è chiaro quali siano i termini di questo rinnovo. Il comunicato stampa del Governo parla di “possibilità per le lavoratrici pubbliche e private di andare in pensione anticipata con l’Opzione Donna anche per il 2020”, una formulazione relativamente generica. L’ipotesi più probabile sembra la proroga di un anno, che consentirebbe dunque di andare in pensione anticipata alle lavoratrici che compiono 58 o 59 anni, rispettivamente se dipendenti o autonome, entro il 31 dicembre 2018, avendo alla stessa data anche 35 anni di contributi.

La pensione con l’Opzione Donna è calcolata interamente con il sistema contributivo: la lavoratrice in pratica va in pensione prima ma rinuncia a una parte dell’assegno, con un taglio che può arrivare al 20-30%. Previste delle finestre fra maturazione del diritto e decorrenza della pensione, pari a 12 mesi per le lavoratrici dipendenti e 18 mesi per le autonome.

Proroga di un anno anche per l’APE Sociale, che dunque sarà utilizzabile fino al 31 dicembre 2020: l’anticipo pensionistico, lo ricordiamo, consente di ritirarsi con 30 o 36 anni di contributi a determinate categorie di lavoratori (disoccupati, caregiver, disabili, addetti a mansioni faticose).

Rivalutazione assegni

Infine la mini-rivalutazione, che riguarda le pensioni fra tre e quatto volte il minimo, ovvero fra 1.522 e 2mila 29 euro lordi al mese (si tratta di una platea di due milioni e mezzo di pensionati). Attualmente questi trattamenti si rivalutano “parzialmente” al 97%, mentre dal prossimo primo gennaio riprenderanno a rivalutarsi al 100%.

Significa, in base ai calcoli Spi-Cgil, 50 centesimi in più al mese, poco più di 6 euro all’anno, cifre che il sindacato definisce «irrisorie e offensive» confermando la mobilitazione del prossimo 16 novembre.

Invariate le percentuali di indicizzazione per gli assegni più alti: al 77% tra 2mila537 e 3mila0445 euro, 45% tra 3mila044 e 4mila059, 45% tra 4mila059 e 4mila566, 40% per i trattamenti più alti.