L’occupazione femminile come ricetta per la crescita del PIL

di Alessia Valentini

29 Marzo 2012 10:00

Favorendo l'occupazione femminile si potrebbe aumentare il PIL del Paese di 7 punti: i dati e le possibili soluzioni al problema.

In un’Italia in recessione con un PIL in calo servirebbe una maggiore occupazione femminile da agevolare con adeguate politiche di conciliazione.

Situazione italiana

In una ricerca della Banca d’Italia si legge: «la scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro è un fattore cruciale di debolezza del sistema» e dai dati emerge un 60% di donne laureate con un tempo anche inferiore rispetto ai colleghi maschi e con risultati in media migliori. Quindi un risultato incoraggiante, che purtroppo però non fa il paio con il mondo del lavoro in cui la presenza femminile è pari al solo 46% della popolazione in età da lavoro, il 20% in meno rispetto alla popolazione maschile.

Il dato più basso di tutti i Paesi europei considerati, se comparato ai ruoli più alti e si considerano le donne con figli. Quest’ultimo il nodo cruciale: il tempo dedicato a casa e famiglia per le donne italiane resta molto maggiore che negli altri Paesi e anche le retribuzioni sono più basse del 10%.

Servirebbero maggiori servizi e una organizzazione del lavoro volti a consentire una migliore conciliazione tra vita e lavoro, una riduzione dei disincentivi impliciti nel regime fiscale e si potrebbe aggiungere anche una equiparazione dei redditi con il mondo maschile.

Fabrizio Saccomanni direttore generale di Bankitalia, all’apertura del convegno “Crescita economica, equità, uguaglianza: il ruolo delle donne”  ha asserito che l’Italia nel divario di genere è tra i Paesi più arretrati e che a causa di questo l’Italia perde ben 7 punti di PIL recuperabili se si arrivasse al 60% di donne occupate stabilmente.

Sgravi fiscali

Per promuovere l’occupazione femminile il MiSE ha proposto di aumentare gli importi deducibili per le aziende che assumono giovani e donne, mentre il Ministero del Lavoro ha istituito il “Fondo per il finanziamento di interventi a favore dell’incremento in termini quantitativi e qualitativi dell’occupazione femminile e giovanile”.

Conciliazione

Ma non è solo un problema di posto di lavoro. Ricerche commissionate dalla Endered, società di servizi per le risorse umane in azienda, rivelano che la maggiore preoccupazione delle lavoratrici riguarda la continuità lavorativa dopo la maternità.

L’assenza di adeguati strumenti sociali e di facilitazioni impedisce spesso alle mamme di conciliare le esigenze lavorative e personali: il 40,8% abbandona il lavoro e il 5,6% di queste non vi rientra più.

Congedi parentali

Questo dipende anche dall’esclusivo carico di responsabilità che grava sulle donne che poco possono contare sui congedi parentali dei partner. Anche se qualcosa si sta muovendo con la riforma del lavoro che ha introdotto il congedo di paternità obbligatorio di 3 giorni, in generale il grosso problema è lo stipendio. Quello maschile è spesso maggiore e in una gestione familiare gli viene data precedenza.

Voucher

Due ricerche separate, dell’’Istituto Astra Ricerche e dell’Università di Genova in collaborazione con la London School of Economics, rivelano l’esigenza di sviluppare nelle aziende private, politiche di work-life balance, richieste dall’ 88,5% degli intervistati e denunciano una profonda insoddisfazione (48,7%) di quanto attualmente offerto dalle aziende.

Esperienze concrete di Paesi europei hanno dimostrato l’efficacia del voucher (buono di servizio) come strumento di welfare immediato e flessibile, specialmente se proposto per servizi “sociali” che potrebbero sollevare le lavoratrici da alcune incombenze familiari.

Condivisione dei ruoli

In generale ci sentiamo di dire che la condivisione dei ruoli al lavoro e a casa, è un indiscusso vantaggio per tutti. Quindi si dovrebbero pensare a soluzioni che intervengano sulle due direttrici principali: interventi fiscali di sostegno all’occupazione delle donne e interventi riguardanti i servizi e la conciliazione e condivisione dei ruoli.

Un salto culturale necessario non solo per il bene del PIL e dell’economia del Paese ma anche per la valorizzazione umana delle donne.