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Stress Management

di Anna Fabi

Pubblicato 20 Febbraio 2008
Aggiornato 9 Settembre 2019 09:13

Se lo stress diventa uno scomodo collega di lavoro, bisogna imparare a gestirlo e magari a renderlo utile

Il ruolo del Project Manager richiede numerose capacità: di organizzazione, di relazione, di comunicazione ma soprattutto molteplici capacità gestionali su ambiti operativi e a volte su fronti insospettati. Uno dei meno evidenti e forse meno considerati, ma che immancabilmente si presenta, è il fronte dello stress.
Per la sua puntuale comparsa durante le attività di progetto e in generale nell’ambito lavorativo, lo si potrebbe addirittura considerare come un collega di lavoro anche se scomodo e indesiderato. Ignorarlo non è la strategia migliore, perchè si ripresenta in forma subdola generando danni anche gravi.

Risulta senz’altro meglio imparare a conoscerlo e a gestirlo correttamente. Da qui il termine stress management, disciplina di ultima generazione che partendo dalla conoscenza approfondita dello stress, delle sue cause e della sua sintomatologia, consente di attuare diverse e molteplici tecniche per contenerlo, controllarlo pienamente, e magari anche evitarlo del tutto.

Definizioni

Hans Selye nel 1936 ha dato una definizione dello stress descrivendolo come «un’alterazione dello stato di equilibrio dell’organismo indotto da vari tipi di stimoli interni o provenienti dall’ambiente esterno». Più spesso il termine è utilizzato per indicare uno stato fisico di disagio che si manifesta con stanchezza, depressione e a volte con uno stato di sofferenza psichica.

Nella medicina del lavoro lo stress è definito come «un particolare tipo di rapporto tra la persona e l’ambiente che viene valutato dalla persona stessa come gravoso o superiore alle proprie risorse e minaccioso per il proprio benessere», enunciato che introduce un concetto diverso alla base dello stress: ovvero la causa è da ricercare nella dinamica fra persone e ambiente di lavoro piuttosto che essere univocamente dipendente dall’ambiente stesso o derivato da stimoli avversi.

È interessante notare che esiste anche una sorta di stress positivo detto “eustress” che scaturisce da una stimolazione dell’ambiente esterno e che costituisce una positiva spinta energetica per affrontare le diverse attività lavorative. Se però si superano alcuni limiti di soglia si entra nella patologia.

Dati sull’incidenza e dimensioni del problema

Dai dati emersi dalla “Fourth European Survey on Working Conditions in the European Union”, pubblicata dalla “Fondazione Europea per il miglioramento della vita e delle condizioni lavorative”, nel 2005, risulta che su circa 30.000 lavoratori di 31 stati fra membri e candidati UE, il 44% non è contento delle proprie attività lavorative perchè lavora più di 48 ore settimanali, il 5% ha avuto esperienze di molestie, violenza e prepotenze, il 25% lamenta di dover lavorare a ritmi frenetici praticamente tutto il tempo, oltre il 62% esegue lavori ripetitivi mentre il 46% esegue lavori dolorosi o stancanti.

Tutte queste condizioni lavorative portano disturbi correlati allo stress, che risulta essere la terza malattia che impatta sulla salute dei lavoratori ed incide per il 22% degli esaminati subito dopo il mal di schiena e i dolori muscolari che rispettivamente influiscono per il 25% e 23%.

Reagire in modo proficuo

L’azienda dovrebbe essere il primo soggetto ad attuare misure preventive e correttive contro lo stress occupazionale. In particolare il primo passo è valutazione del rischio professionale attraverso l’analisi del livello di esposizione agli agenti lesivi che sono causa di stress a carico di ogni lavoratore. A seguire dovrebbero poi essere attuati processi interni, e un’organizzazione gerarchica e funzionale che possa garantire un ambiente di lavoro sereno, sano e professionalmente valido. Banalmente l’azienda dovrebbe intervenire su ciascuno degli undici punti sopraccitati evitando che si verifichino.

Tuttavia il punto centrale della disciplina dello “stress management” è la capacità di riconoscere e poi fronteggiare autonomamente il problema inserendo nella vita di tutti i giorni alcune strategie di salvataggio.

Autoanalisi: Il punto di partenza è riconoscere i propri sintomi mediante l’utilizzo di questionari basati sugli indicatori biologici dello stress, che consentono di capire l’entità del problema.

Esercitarsi al controllo: Se lo stress dipende dalla personale percezione e dal controllo che esercitiamo sulle cose, il primo passo è essere maggiormente realistici e valutare con obiettività ogni singola situazione, riconoscendo i propri punti deboli e le misure che in situazioni simili ne hanno permesso la risoluzione, per poi semplicemente replicarle. Quindi

  • Identificare obiettivamente la fonte delle pressioni;
  • Dimenticarsi dei “ci ero quasi riuscito…” e riconoscere i propri limiti;
  • Ricordare altre circostanze simili e i modi che hanno consentito la risoluzione;
  • Concedersi una pausa, rilassarsi per ricaricare le energie; (non a caso gli atleti agonisti il giorno prima della gara non si allenano n.d.r.).

Comunicazione efficace: Parlare con gli altri, confrontarsi aiuta sia a scaricare lo stress sia a trovare soluzioni. L’aspetto della comunicazione è fondamentale: ad esempio su di essa è basato l’addestramento dei piloti di volo (approccio Crew Resource Management) per insegnare a lavorare anche in situazioni di forte stress. La comunicazione deve essere efficace, di rapida comprensione si deve evitare tutto quanto possa causare errori come ad esempio i modi di espressione imprecisi e confusi, termini specialisti di difficile comprensione o anche un comportamento che possa dare origine a equivoci e causare la mancanza di feedback.

Attuare il counselling: consiste nel farsi guidare da un esperto che insegna le strategie di auto-aiuto cognitivo comportamentale. Queste tecniche sostanzialmente partono dall’affermazione che la sofferenza emotiva a cui siamo sottoposti, può non essere dovuta ad un’azione diretta della realtà su di noi, ma possa dipendere da una personale interpretazione distorta dei fatti, per cui nascono convinzioni sbagliate erroneamente generate dal nostro cervello. Il counselling consiste nell’attuazione di metodi cognitivi (pensare in modo diverso dal solito), metodi per il controllo delle emozioni (tecniche di concentrazione e rilassamento), metodi comportamentali (imparare tecniche di relazione e gestione conflitti).

Sfruttare il Time management: l’utilizzo di tecniche di time management consente di organizzare le proprie attività efficacemente per evitare di essere sempre sommersi di cose da fare.

Secondo “L’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro” (dati del 2005) il 59,7% dei lavoratori Europei è costretto a lavorare freneticamente e il 61,9% lamenta di doversi attenere a scadenze stringenti, con un peggioramento rispetto ai dati del 2000 pari ad un incremento percentuale del 5%. Lavorare costantemente sotto pressione aumenta il tasso degli incidenti da lavoro di circa il 15%. E infatti il verificarsi di un incidente sul lavoro causato dallo stress costituisce a tutti gli effetti un infortunio sul lavoro per cui l’azienda e l’INAIL rispondono economicamente; tale concetto è stato ribadito dalla Corte di Cassazione sezione lavoro con la sentenza 21 aprile 1999 n. 3970 nel caso di un impiegato investito al termine del proprio turno.

Un’altra autorevole fonte è quella del Ministero della Salute secondo cui “lo stress legato al lavoro rappresenta la seconda malattia professionale più diffusa nell’Unione europea dopo il mal di schiena”. L’incidenza È di un lavoratore su quattro, con maggiore influenza sulle donne. Sempre secondo il Ministero il 50-60% dell’assenteismo, è riconducibile allo stress nell’ambiente di lavoro.

Ancora dati sull’assenteismo sono disponibili presso “L’osservatorio permanente sui rischi da lavoro” che fa parte dell'”agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro” che svolge una serie di ricerche e raccoglie dati accurati su assenteismo: dati del 2005 relativi all’assenteismo si ha che circa il 23,4 dei lavoratori UE si è assentato per motivi di salute correlati all’attività lavorativa con circa 4,6 giorni di assenza.

Lo stress rappresenta quindi un danno tangibile a carico della salute dei lavoratori ed una evidente perdita economica per le aziende. Nel 2002 tale perdita è stata stimata come costo sanitario annuale complessivo (voce specifica per lo stress legato all’attività lavorativa per l’UE n.d.r.) in circa 20 miliardi di euro (fonte “Agenzia Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro”), senza considerare la perdita di produttività o l’eventuale risarcimento da infortunio sul lavoro che rappresentano un ulteriore aggravio finanziario ed economico.

Le cause scatenanti, i danni alla salute, burnout

Lo stress è strettamente legato alla percezione che ognuno ha della propria attività lavorativa, ovvero del controllo che può esercitare su di essa. Secondo il modello dello “Job strain model” (aggravio del lavoro n.d.r.) lo stress lavorativo risulta dalla combinazione di un eccessivo carico di lavoro e di una scarsa possibilità di controllo. Quindi seppure in presenza di un carico di lavoro pesante, un lavoratore potrebbe non sentirsi stressato se percepisse di poter gestire nella maniera più opportuna tale carico. Per lo stesso motivo è possibile reggere serenamente alti livelli di pressione lavorativa se causati dalle proprie azioni, mentre la piu’ banale delle situazioni dipendente da fattori esterni può letteralmente scatenare il panico.

Un altro modello teorico “Effort-rewards imbalance model” (squilibrio fra sforzo e ricompensa n.d.r.) fa invece discendere lo stress dal mancato bilanciamento fra lo sforzo profuso e il riconoscimento sia esso economico, qualitativo o di carriera.

Al di là dei modelli, è opinione comune che in ambito lavorativo le maggiori cause riconosciute per l’insorgenza dello stress riguardano una delle seguenti situazioni o combinazioni multiple di queste:

  • Precarietà e insicurezza del posto di lavoro
  • Inadeguata distribuzione dei carichi di lavoro per dipendete (per eccesso o per difetto)
  • Tempo insufficiente per la esecuzione materiale del lavoro assegnato
  • Poca chiarezza nell’organizzazione gerarchica
  • Indicazioni approssimative sull’attività da svolgere
  • Mancanza di riconoscimenti economici e professionali
  • Numero eccessivo di ore straordinarie di lavoro
  • Responsabilità gravose senza avere grado di autorità o potere decisionale adeguati o anche la delega al conseguimento degli obiettivi fissati
  • Essere oggetto di pregiudizi a vario titolo (età, razza, religione…)
  • Molestie
  • Ambiente di lavoro pericoloso, dannoso o inadeguato

La continua esposizione ad uno o più dei fattori sopraccitati comporta il superamento del livello normale di eustress (carica positiva) esponendo l’individuo allo stress vero e proprio e quindi a danni tanto fisici quanto psichici che possono presentarsi anche contemporaneamente.

I sintomi fisici più comuni sono: mal di testa, ipertensione, tachicardia, extrasistole, aumento della sudorazione, disturbi gastro-intestinali, aumento o perdita di peso, dolori muscolari e stanchezza; fra i sintomi psichici più ricorrenti si riscontrano: insonnia, ansia, depressione, irritabilità, insoddisfazione, diminuzione della concentrazione e della memoria. A livello personale si può inoltre avvertire preoccupazione, demotivazione, insicurezza, incapacità di gestione e di decisionalità, mancanza di creatività ed anche rabbia.

Una forma particolarmente pericolosa è l’esaurimento completo detto “burnout” letteralmente “essere bruciati”; consiste in uno stato di esaurimento fisico, emotivo e mentale e tipicamente chi ne è colpito ha una completa compromissione dello stato fisico, mostra apatia nei confronti di attività per cui in precedenza aveva entusiasmo, perde l’interesse per i contatti interpersonali o non è piu’ in grado di stabilirli, preferendo la solitudine.