Le sfide post pandemia per le HR nelle PMI

di Barbara Weisz

11 Marzo 2021 09:00

Smart working, nuova organizzazione, leadership e people management adeguati ai cambiamenti: priorità e strumenti per HR: survey Willis Towers Watson.

Non solo tecnologie, anzi è l’organizzazione aziendale l’ambito in cui le PMI intendono investire maggiormente nel 2021. Un anno che continuerà a scontare l’impatto negativo della pandemia Covid, ma nonostante questo le imprese nella maggior parte dei casi pensano di incrementare la forza lavoro, e di creare nuovi ruoli sulla base delle competenze richieste dal mercato. Sono le evidenze di una survey condotta da Willis Towers Watson sulle PMI innovative, esaminata in anteprima esclusiva da PMI.it, dedicata a HR Best Practice & Tax Incentive.

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Le PMI innovative, sottolinea Daria Tagliasacchi, Human Capital Associate di Willis Towers Watsonle «proprio grazie alla flessibilità intrinseca alla loro natura sono state in grado di reagire in breve tempo ad un evento disruptive quale la pandemia e a definire dei piani per garantire la continuità operativa, rivedendo in molti casi anche il modello di business». I dati lo dimostrano.  Le due aree ad alto potenziale di business su cui le imprese intendono investire di più sono l’IT (information technology), 67%, e organizzazione, 61%. E le principali azioni organizzative in vista, malgrado la crisi, non riguardano la riduzione della forza lavoro, prevista solo nel 6% dei casi, o dell’orario lavorativo, 3%, ma al contrario l’incremento della forza lavoro, 39%, e la creazione di nuovi ruoli sulla base delle competenze chieste dal mercato, 42%.

Modelli organizzativi

Le due priorità identificate dalle risorse umane sono organizzazione e leadership e qualità del management, seguite dallo sviluppo professionale. Aggregando i dati, si rileva che l’80% delle PMI innovative ha intenzione di rivedere la struttura organizzativa, puntando su figure manageriali dotate di leadership ed esperienza. La leadership è fra le soft skill considerate prioritarie, 61%, stessa percentuale per il people management, «ovvero la capacità di gestire le persone alla luce della nuova organizzazione agile del lavoro», spiega Tagliasacchi, secondo cui «certamente la pandemia ha impattato le skill chiave per il successo di lungo termine dell’azienda», e «la leadership andrà rivista in un’ottica di maggiore inclusione e comunicazione costante verso i propri dipendenti. Sarà quindi necessario lavorare su percorsi di crescita strutturati, che attualmente appaiono poco presenti (44% ne dispone)».

Policy Smart Working

Uno dei trend emersi durante la pandemia è senz’altro lo smart working.

L’indagine rileva innanzitutto che le imprese continueranno a praticare il lavoro agile anche nel post Covid. Nel 39%, consentiranno ai dipendenti lo smart working per un determinato numero di giorni a settimana, nel 33% lo prevedranno invece senza vincoli.

Formazione

Lo smart working implica, fra le altre cose, e malgrado il “training” obbligato, nuove esigenze formative. «Sarà necessario lavorare ancora su questo fronte – segnala Tagliasacchi – con l’obiettivo di rendere il nuovo modello organizzativo sostenibile in un’ottica di lungo periodo, lavorando anche sull’engagement dei dipendenti e sulle nuove skills necessarie nel nuovo assetto organizzativo». Le aree su cui le imprese identificano nuove esigenze formative o gap di competenze sono soprattutto digital marketing, 44%, agile development e team collaboration, 39%, cybersecurity, 33%. Le skills più tecniche, con l’eccezione dell’intelligenza artificiale e del machine learning, 22%, sono relativamente distanziate, sotto il 20% (data science e business intelligence, databases, e-commerce e web publishing, cloud computing).

Lo smart working implica anche una serie di altre azioni: «sarà necessario identificare ed implementare una serie di iniziative e programmi, progettati per raggiungere gli obiettivi aziendali di lungo periodo, coerenti ed integrati tra loro, quali ad esempio nuove politiche retributive e percorsi di sviluppo professionale allineati alle esigenze dei nuovi modelli di business».

I sistemi di incentivazione a breve termine sono utilizzati nel 61% dei casi, spesso destinati all’intera popolazione generale. Più basso il ricorso a incentivi a lungo termine, 56%, nella stragrande maggioranza dei casi rappresentati da piani azionari per manager ed executive. Emerge un certo interesse a valutare nel medio termine l’utilizzo di strumenti di work for equity, segnala Tagliasacchi. «Le agevolazioni derivanti dall’utilizzo di tali strumenti sono molteplici, ma al momento sembrano essere poco sfruttate e probabilmente anche poco conosciute dai potenziali beneficiari» .Il 28% delle PMI sta già applicando l’assegnazione di quote o strumenti partecipativi, e un analoga percentuale è in fase di valutazione. Mentre il 44% non intende utilizzare strumenti di work for equity.

Per quanto riguarda, infine, strumenti di welfare aziendale, i più utilizzati sono polizza sanitaria, ticket restaurant, strumenti di business (come lo smartphone). Fra quelli che invece le HR stanno considerando di introdurre o potenziare, lo sviluppo professionale, sistemi di incentivazione, engagement dei dipendenti.