Dall’outsourcing al crowdsoursing

di Rosanna Marchegiani

5 Gennaio 2010 11:30

Il termine crowdsourcing è stato coniato dal giornalista Jeff Howe della rivista americana Wired. Esso nasce dalla fusione della parola crowd, ovvero folla, e outsourcing, cioè portare all'esterno alcune attività aziendali e conservare all'interno quelle strategiche

Negli anni ’90 l’outsourcing si diffonde come nuovo modello di business. L’idea è semplice: portare all’esterno alcune attività aziendali e conservare all’interno quelle strategiche. Un modo per ridurre i costi e concentrare l’attenzione sulle funzione cruciali per l’azienda.

Oggi è il crowdsourcing il nuovo modello di business che si va affermando. Il termine, coniato da Jeff Howe, giornalista della rivista Wired, nasce dalla fusione della parola inglese crowd, ovvero folla, con l’espressione outsourcing.

Anche in questo caso si affida lo svolgimento di attività aziendali all’esterno, ma non ad un’altra impresa o ad un professionista, ma alla massa o meglio alle comunità virtuali presenti sul web: in alcuni casi si tratta di professionisti, ma spesso anche di gente comune purché capace di produrre l’idea giusta o di trovare una soluzione convincente.

Il crowdsourcing si può manifestare sotto varie forme:

  • freelance platforms, ovvero dei siti il cui obiettivo è quello di mettere in contatto imprese e professionisti (un esempio classico sono i siti www.elance.com e www.odesk.com);
  • innovation plaftorms, cioè siti sui quali le aziende pongono quesiti tecnici di tipo informatico, chimico, scientifico e pagano una somma di denaro a chi è in grado di fornire la soluzione migliore (www.innocentive.com ne è un esempio: ad essa ricorrono anche grandi multinazionali del calibro della Procter & Gamble e i compensi corrisposti vanno da cinquemila a centomila dollari);
  • creative platform, che hanno come scopo la creazione di prodotti direttamente da parte degli utenti e la loro successiva vendita (come ad esempio www.istockphoto.com un archivio di foto ed immagini realizzate da fotoamatori acquistabili ad un prezzo molto contenuto);
  • peer production, nel caso in cui molte persone prive di una organizzazione gerarchica realizzano un progetto comune, il più delle volte senza uno scopo di lucro (l’esempio più noto è www.wikipendia.it);
  • corporate initiatives nel caso in cui delle aziende chiedono alla comunità virtuale di collaborare alla realizzazione di un nuovo prodotto o di un nuovo servizio (la Lego, ad esempio, ha invitato gli interessati a proporre nuovi giochi con l’intenzione di realizzare le migliori proposte).

Perché per un’azienda può essere utile ricorrere al crowdsourcing? Attraverso questa metodologia di lavoro l’impresa può entrare in contatto con una comunità costituita da un numero illimitato di potenziali collaboratori, tra i quali molti sicuramente validi e preparati, con la possibilità di avere un interscambio di idee e buone soluzioni ai propri problemi, e il tutto a costi molto contenuti.

Portare all’esterno alcune attività aziendali riduce i costi fissi per l’azienda trasformandoli in costi variabili. Si riducono, inoltre, gli eventuali costi per la formazione del personale interno.

Non tutte le attività ovviamente, si prestano ad essere svolte in tale modalità. Quelle che più si adattano ad essere svolte in  crowdsourcing sono quelle di programmazione, di design e multimedia, stesura di testi e loro correzione, traduzioni di testi, marketing, ricerca scientifica.