Arbitro per controversie di lavoro: è polemica

di Noemi Ricci

4 Marzo 2010 12:15

Approvata la nuova legge sul processo del lavoro, voluta dal Governo che apre la strada all'arbitro nelle cotroversie di lavoro. Un'attacco all'art.18 per la Cigl che dichiara di voler ricorrere alla Corte costituzionale

Il Senato ha approvato il collegato alla Finanziaria sul lavoro che dà il vi libero all’arbitrato, anche secondo equità, nelle controversie di lavoro.

Una legge voluta dal Governo che non trova però il favore di tutti, l’opposizione e la Cgil l’hanno così definito un attacco all’articolo 18 e alle tutele da questo previste, quindi al diritto al lavoro.

La norma prevede infatti che gli accordi collettivi di lavoro diano la possibilità al datore di lavoro e al lavoratore di escludere il ricorso al giudice del lavoro, sottoscrivendo clausole compromissorie per devolvere eventuali controversie di lavoro all’arbitro.

A quest’ultimo è data inoltre facoltà di decidere secondo equità, quindi senza dover rispettare tutti quei diritti difesi dalle leggi in vigore, tra le quali anche l’articolo 18.

Il problema, sottolineato dall’opposizione, di questa legge sull’arbitrato non è tanto il ricorso a quest’ultimo, che in realtà dovrebbe rappresentare per i lavoratori un’opportunità in più per difendersi, quanto il fatto che intraprendere la strada dell’arbitro preclude ogni possibilità di andare successivamente dal giudice.

L’accordo tra datore di lavoro e lavoratore può avvenire anche in un secondo momento, permettendo di accedere all’arbitrato al di là dell’accordo collettivo, per il quale il governo concede una anno di tempo alle parti, trascorso il quale procederà per decreto.

La Cgil ha dichiarato l’intenzione di ricorrere alla Corte costituzionale, ritenendo che tutto questo renderà i “lavoratori più deboli e ricattabili“, poichè anche la possibilità prevista da maggioranza e governo di lasciare ai contratti la possibilità di fissare i paletti per l’accesso all’arbitrato lascia spazio alla contrattazione solo per definire le procedure, ma non può modificare quello che stabilisce la legge, rendendo la contrattazione “molto vincolata e, dunque, non libera”.