Licenziamento per giustificato motivo: le indennità spettanti

di Anna Fabi

5 Febbraio 2020 11:34

Cosa è cambiato dopo il Decreto Dignità nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo: contestazione, conciliazione, indennità risarcitorie e differenze rispetto al Jobs Act.

Il Decreto Dignità, il Jobs Act e prima ancora la Riforma Fornero (legge n. 92/2012) hanno profondamente modificato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, quando dettato da motivi economici.

Alla base restano le ragioni di riorganizzazione aziendale che portano a una riduzione del personale (tra le motivazioni applicabili, invece, non rientra la condotta del lavoratore): in ogni caso spetta al giudice verificare che il licenziamento costituisca l’ultima opzione in capo al datore di lavoro, che non ha altre possibilità di reimpiegare il lavoratore (repechage).

Contestazione

Il datore di lavoro deve comunicare il licenziamento al lavoratore indicando le ragioni.

Per i lavoratori assunti con il contratto a tutele crescenti (introdotto dal Jobs Act a partire dal 7 marzo 2015), il datore di lavoro può proporre una conciliazione in sede protetta (INL, sindacato, commissione di certificazione) entro 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento, proponendo un risarcimento economico da pagare con assegno circolare o altra forma di accordo prevista dalla legge.

A prescindere dalle tutele crescenti, se il lavoratore ritiene che la decisione sia ingiusta può procedere con la contestazione, impugnando il licenziamento entro 60 giorni dalla comunicazione, inviando lettera raccomandata anche al datore. Nei successivi 180 giorni (non oltre, pena l’inefficacia dell’impugnazione) dovrà procedere al deposito del ricorso e alla richiesta al datore di lavoro di un tentativo di conciliazione.

Numero e importo indennità

Quando il licenziamento per motivi economici è dichiarato illegittimo da parte del Giudice scattano le sanzioni in capo al datore di lavoro, sulle quali è  intervenuto il Legislatore. In particolare, la legge di conversione del Decreto Dignità (legge n. 96/2018) ha previsto una rimodulazione dell’indennità risarcitoria in caso di verifica, da parte di licenziamento illegittimo di lavoratori a tempo indeterminato (articolo 3, comma 1, Decreto Legislativo n. 23/2015) e della conciliazione proposta dal datore di lavoro (articolo 6 dello stesso decreto).

L’indennità a titolo di risarcimento in caso di licenziamento illegittimo va dalle 6 alle 36 mensilità pari dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, anche se assunto da meno di 3 anni (con il Jobs Act andavano da 4 e 24). L’importo annuale rimane fisso ad una o due mensilità ogni anno di servizio. Più in particolare:

  • da 6 a 36 mensilità per aziende oltre i 15 dipendenti (articolo 18, commi 8 e 9, dello Statuto dei Lavoratori)
  • da 3 e 6 mensilità per aziende sotto i 16 dipendenti.

L’indennità non è prevede contribuzione previdenziale (le frazioni di anno d’anzianità di servizio e le indennità sono riproporzionate, tenendo a mente che le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni si computano come mese intero).

NB: Per i licenziamenti illegittimi di natura disciplinare, l’importo è variabile in base al tipo di conciliazione e l’indennità è pari a 2 mensilità per ogni anno di servizio.  In ogni caso, non si può andare oltre le 12 mensilità.Per i licenziamenti discriminatori o nulli non c’è indennità perché scatta la reintegra.

Revoca licenziamento

Per evitare impugnazione e indennità, il datore può procedere alla revoca del licenziamento entro 15 giorni dalla comunicazione della contestazione da parte del lavoratore, offrendogli alternativamente una somma, modificata dal Decreto Dignità nella seguente misura:

  • pari a una mensilità per ogni anno di servizio;
  • tra 3 e 27 mensilità per aziende oltre 15 dipendenti
  • tra 1,5 e 6 mensilità per aziende sotto i 16 dipendenti.

Se il lavoratore accetta, il rapporto di lavoro si intende estinto alla data del licenziamento e l’impugnazione decade.