Dopo l’operazione trasparenza, per i dipendenti pubblici è scattato anche il controllo delle ore di navigazione in Internet durante l’orario d’ufficio. La Cassazione ha, infatti, stabilito che gli impiegati che trascorrono il loro tempo sul Web scaricando su archivi personali materiale non legato al loro lavoro rischiano la sospensione.
Si tratterebbe, infatti, di reato di peculato, in cui rientrano già le telefonate private fatte dal posto di lavoro, e cioè di appropriazione per fini personali di strumenti di cui il dipendente pubblico dispone per svolgere il suo incarico.
L’intervento della Sesta sezione penale della Corte di Cassazione è scattato a seguito di un ricorso sottoposto dalla Procura di Bari sul comportamento di un dipendente del comune di Trani sorpreso a servirsi «del computer d’ufficio, cui era collegato un masterizzatore dvd, per uso personale usufruendo della rete informatica del comune».
Il Tribunale di Bari, in appello, aveva stabilito che «il reato di peculato tutela il patrimonio della Pubblica Amministrazione e che questo non poteva essere depauperato da collegamenti al computer comunque sempre collegato alla rete elettrica e telefonica«. In pratica l’impiegato, non avendo sottratto risorse pubbliche, non poteva essere sottoposto all’ordinanza di sospensione.
La Cassazione ha, invece, accolto il ricorso della Procura di Bari riconoscendo nella condotta del dipendente un’estensione del reato di peculato che non si riferisce solo al patrimonio dell’Ente pubblico ma «anche il buon andamento degli uffici della PA basato su un rapporto di fiducia e di lealtà col personale dipendente».
Il caso adesso sarà esaminato dai giudici che, con una valutazione del tempo trascorso a navigare in Internet e quindi sottratto allo svolgimento della sua mansione e dei relativi costi, dovranno verificare se ci siano stati abusi.