


Una crisi d’impresa sfociata in fallimento non può giustificare l’omesso versamento IVA, che rimane una mancanza punibile secondo quanto previsto dalla normativa.
La Corte di Cassazione, con la sentenza Sez. 3 n. 5804/2025 del 12 febbraio scorso, ha sottolineato come il rischio di impresa non possa essere considerato una causa di non punibilità per l’evasione IVA.
Non modifica la situazione quanto stabilito dal Dlgs n. 87/2024, che apre le porte alla non punibilità dell’evasione se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore che siano sopravvenute all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’IVA.
La crisi di liquidità, di norma, rappresenta sempre un elemento che rientra nell’ordinario rischio di impresa tale che non possa comportare l’inadempimento dell’obbligazione fiscale.
Secondo i giudici, l’omesso versamento IVA può essere giustificabile se la difficolta economica sia classificata come fatto esterno imponderabile, imprevisto ed imprevedibile. Come già ritenuto in precedenti sentenze della stessa Corte (ad esempio Sez. 3, n. 30626 del 13/10/2020):
al fine della dimostrazione della assoluta impossibilità di provvedere ai pagamenti omessi, occorre l’allegazione e la prova della non addebitabilità all’imputato della crisi economica che ha investito l’impresa e della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità che ne sia conseguita tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto (cfr. Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014; Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014; Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015). Per escludere la volontarietà della condotta è, dunque, necessaria la dimostrazione della riconducibilità dell’inadempimento alla obbligazione verso l’Erario a fatti non imputabili all’imprenditore…[…].
In conclusione, la crisi di liquidità che determina l’impossibilità di far fronte al pagamento delle imposte deve essere il risultato di una situazione non fronteggiabile con “misure da valutarsi in concreto”.