Google Buzz nel mirino dei Garanti per la privacy

di Cristiano Ghidotti

Pubblicato 20 Aprile 2010
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:47

Google Buzz, così come si trova al momento strutturato, potrebbe presentare seri rischi legati alla privacy degli utenti. Ne avevamo parlato in tempi non sospetti, subito dopo il lancio del social network da parte del colosso di Mountain View e ora sembrano essersene accorte anche le più importanti autorità mondiali impegnate nella tutela dei dati personali.

Il Garante italiano per la privacy e le equivalenti istituzioni di altri nove stati (Canada, Francia, Germania, Irlanda, Israele, Olanda, Nuova Zelanda, Spagna e Gran Bretagna), hanno chiesto a Google di rivedere la propria posizione e il funzionamento del neonato social network, così da dare anche il buon esempio alle altre realtà al momento operanti sul Web.

L’accusa è quella di aver integrato il servizio, all’interno di milioni di caselle email, senza averlo notificato preventivamente e in modo completo agli utenti, con specifico riferimento alla gestione delle proprie informazioni riservate.

Una volta fornito il consenso a connettere l’account alla Rete di Google Buzz, infatti, chiunque può vedere chi siano le persone con le quali abbiamo scambiato il maggior numero di messaggi email, in quanto è proprio questo il criterio scelto da Google per selezionare le persone da aggiungere inizialmente nella lista dei propri amici.

Di seguito, un estratto dalla lettera inviata dai Garanti ai vertici di bigG:

Spesso il diritto alla privacy finisce nel dimenticatoio quando Google lancia una nuova applicazione. L’introduzione di Google Buzz ci ha profondamente turbati, evidenziando una grave mancanza di riguardo per regole e norme fondamentali in materia di privacy.

Gmail è nato come un servizio di posta elettronica tra privati, per venire in un secondo momento trasformato in un vero e proprio social network, il tutto assegnando in modo automatico una lista di amici ad ogni utente, ricavata dalle persone con le quali si è comunicato più spesso e senza informare in modo adeguato gli interessati.

Questo comportamento ha violato un principio fondamentale e riconosciuto a livello mondiale, che riguarda il diritto delle persone a controllare l’utilizzo dei propri dati personali.