Negoziare con metodo

di Anna Fabi

15 Ottobre 2009 13:00

La negoziazione è una delle attività più frequenti ed importanti della nostra vita sociale (e lavorativa). Tanto vale apprendere un metodo

Non che siamo tutti dei dilettanti nella negoziazione. Il metodo generalmente ce l’abbiamo, ed è il classico e intuitivo: partire da una richiesta alta o da una offerta bassa per poi cedere qualcosa. Insomma, partire da posizioni lontane per convergere, tramite concessioni o conquiste successive, in un punto intermedio di accordo comune. Questa è la cosiddetta trattativa di posizione.

Vi è un limite in questa impostazione: il negoziatore tende a rinchiudersi nella sua posizione iniziale, e ad identificarvisi. Diventa una questione di reputazione: per salvaguardare la propria immagine, per l’autostima, si finisce spesso con l’arroccarsi su quanto dichiarato. Si rischia così che entrambe le parti si fossilizzino sulla propria posizione, non cedendo il necessario per convenire in un punto d’accordo. Oppure può anche accadere che una delle due parti si mostri più morbida e accondiscendente e ceda alla rigidità dell’altra, però poi può subentrare in essa un sentimento d’insoddisfazione sia verso sé stessa (giudicandosi troppo debole) sia verso l’altra (giudicandola eccessivamente pretenziosa) e comunque in generale verso l’accordo conseguito, valutandolo, a conti fatti, poco conveniente.

In ogni caso, seppure alla fine si raggiunge un accordo accettabile per entrambi, questo metodo non favorisce il futuro dei rapporti tra le parti, ovvero non sviluppa un’intesa ed una relazione amichevole, ed inoltre può rischiare di tradursi in un processo lungo e snervante, in una “guerra di posizione” tra i negoziatori.

Per evitare questi inconvenienti, bisogna innanzitutto evitare di concepire la trattativa come un confronto di posizioni, e invece impostarla come una dialettica tra interessi. Ovvero, bisogna sforzarsi di comprendere cosa realmente si vuole, evitando di cadere nella trappola di dare importanza alla posizione assunta (da se stessi o dalla controporte) la quale non rappresenta ciò di cui, in realtà, si ha bisogno ma, come si è detto, solo una richiesta fittizia facente parte di uno stratagemma di negoziazione. Insomma, bisogna superare le apparenze e puntare alla sostanza.

Ogni richiesta è l’espressione di un interesse sottostante: bisogna capire cosa si vuole realmente, ossia perché si fa quel tipo di richiesta. Bisogna leggere tra le righe. Un esempio: marito e moglie stanno mettendo su casa insieme, e s’impuntano sulla scelta, mettiamo, del divano nel soggiorno. C’è chi lo desidera di dimensioni più ampie, e chi di dimensioni più contenute. Cosa c’è dietro questo confronto?

Chi vuole un divano di dimensioni più ampie bada alla propria comodità, chi preferisce un divano più piccolo bada allo sfruttamento dello spazio disponibile, e a come dover tenere pulito il soggiorno senza grossi ingombri. Dunque, emergono bisogni diversi, e l’accordo deve essere raggiunto tra questi bisogni, e non sui centimetri del divano. Bisogna quindi tenere in considerazione l’intero arredamento del locale e la sua configurazione: ad esempio, riducendo le dimensioni di un altro mobile, si guadagna lo spazio per un divano comodo, e che al tempo stesso non crei problemi a chi deve pulire e desidera un ambiente spazioso.

Non bisogna concentrarsi sul divano, ma sui bisogni! Inoltre, dietro i bisogni espressi, ci può essere un ulteriore livello di richieste: l’uno o l’altra s’impunta sulla propria posizione perché forse in realtà richiede maggiore attenzione o comprensione all’altro, non si sente sufficientemente tenuto in considerazione quando si tratta di prendere delle decisioni.

Da non dimenticare che è di fondamentale importanza in una negoziazione il rapporto tra le parti, il quale deve essere migliorato dall’accordo raggiunto (e dal processo di negoziazione), o quantomeno non peggiorato…