Il declino del dollaro

di Rosanna Marchegiani

16 Dicembre 2009 11:30

Negli ambienti monetari internazionali si parla ormai di "dollar declinism", ovvero declinismo del dollaro. Di fronte alla perdita di valore della moneta americana i pareri degli economisti e degli addetti ai lavori sono contrastanti

Il primo gennaio del 2001 nasce l’euro che vale 1,16675 dollari. I primi mesi sono negativi per l’euro. Nel 2001 le due monete si sono, poco a poco, avvicinate in modo da raggiungere la parità nel 2002. A questo punto inizia una parabola discendente per il dollaro: oggi un euro vale all’incirca 1,50 dollari.

Negli ambienti monetari internazionali si è iniziato a parlare di “dollar declinism”, ovvero “declinismo” del dollaro. La moneta americana sta perdendo terreno rispetto a tutte le valute e questo potrebbe essere un chiaro segnale della fine di un ciclo economico iniziato dopo la seconda guerra mondiale che porterà certamente ad un ridimensionamento della moneta america, un po’ come è avvenuto con la sterlina inglese dopo il secondo conflitto mondiale. Tutto questo dà  la sensazione che l’America non sia più il grande traino dell’economia mondiale.

Nello scorso mese di ottobre, il quotidiano “The indipendent” ha riportato la notizia (smentita dalle parti in causa) di supposte trattative segrete tra Stati arabi, Cina, Russia e Francia per smettere di usare il dollaro nelle transazioni petrolifere.

Al di là di presunti complotti internazionali, arrivano da più parti le proposte di trovare un’alternativa al dollaro. Il premier cinese Wen Jiabao ha suggerito di sostituirlo con gli Sdr (Special drawing rights) ovvero l’unità di conto del Fondo monetario internazionale, il cui valore dipende da un paniere di monete nazionali (dollaro, euro, sterlina e yen).

L’economista David Malpass, in un articolo apparso nel mese di ottobre sul Wall Street Journal, afferma che l’unico modo per poter creare prosperità è quello di incrementare la produttività, ma per fare questo è necessario aumentare gli investimenti e l’innovazione e, un dollaro debole, non favorisce gli investimenti poiché spinge a portare i capitali all’estero.

È si vero che il calo del dollaro fa aumentare le esportazioni, ma è anche vero che gli spostamenti di capitali sono superiori rispetto a quelli delle merci. La crescita della disoccupazione in molti paesi europei, tra cui l’Italia, è anche la conseguenza dell’impossibilità di queste aziende di esportare negli Usa.

Di parere diverso è Paul Krugman che, dalle pagine del New York Time, ha risposto sostenendo che sbagliano coloro che si lamentano del declino del dollaro, poiché esso non fa altro che favorire le esportazioni. Anche Gorge Koo, consigliere della Las Vegas Sands Corp, non ritiene negativo tale fenomeno e sostiene che il declino della moneta americana obbliga l’economia globale a riallinearsi e spinge gli Stati uniti verso la produzione di beni per l’esportazione e verso un assottigliamento delle importazioni.