Anche la condotta tenuta dal dipendente fuori dal luogo di lavoro può portare al licenziamento, soprattutto se giudicata non in linea con i doveri del lavoratore nei confronti della sua azienda.
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La Corte di Cassazione si recentemente espressa a tale proposito, valutando legittimo il licenziamento di un dipendente reo di aver compiuto atti di violenza contro la consorte, lavoratrice nella stessa azienda, sia all’interno del luogo di lavoro sia in privato.
La sentenza 2550 del 12 febbraio 2015 sottolinea, infatti, come il lavoratore sia tenuto a rispettare gli obblighi di diligenza e fedeltà, come anche di correttezza e buona fede, non solo tra le mura dell’ufficio ma anche in ambienti extralavorativi. Doveri che hanno un’accezione più ampia e coinvolgono tutti comportamenti che possono ledere il rapporto fiduciario.
Come si legge nella sentenza:
«Si è difatti rilevato che l’obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato ha un contenuto più ampio di quello risultante dall’art. 2105 cod. civ., dovendo integrarsi con gli artt. 1175 e 1375 cod. civ., che impongono correttezza e buona fede anche nei comportamenti extralavorativi, necessariamente tali da non danneggiare il datore di lavoro (cfr. Cass. n. 14176 del 2009) e che, in tema di licenziamento per violazione dell’obbligo di fedeltà, il lavoratore deve astenersi dal porre in essere non solo i comportamenti espressamente vietati dall’art. 2105 cod. civ., ma anche qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le possibili conseguenze, risulti in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa, ivi compresa la mera preordinazione di attività contraria agli interessi del datore di lavoro potenzialmente produttiva di danno (Cass. n. 6957 del 2005; Cass. n. 2474 del 2008).»
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