Corporate goverance e leadership

di Carlo Lavalle

3 Agosto 2009 08:00

Uno dei massimi esperti della direzione d'impresa mette a fuoco la relazione tra leadership e corporate governance per delineare un modello pratico e insieme attento ai principi

Il contributo di pensiero fornito da Sir Adrian Cadbury alla definizione del tema della corporate governance è indubbio e di grande livello. Il suo nome è legato alla formulazione del primo codice di condotta per amministratori di società quotate in Gran Bretagna, noto come Cadbury Code. Nel 2001 è stato insignito dell’International Corporate Governance Network Award. Nella versione aggiornata dei Principi di corporate governance dell’Ocse, pubblicata nel 2004, Adrian Cadbury compare tra le personalità che i curatori ringraziano per il loro apporto di idee all’opera.

La corporate governance è un argomento tornato con forza alla ribalta della discussione internazionale dopo l’esplosione della crisi finanziaria mondiale che rinvia in parte alle lacune o alla inadeguatezza dei principi del buon governo societario come suggerisce l’analisi dello Steering Group on CG dell’Ocse (“The Corporate Governance Lessons from the Financial Crisis”).

Gli scombussolamenti prodotti dai processi economici globali invitano a rileggere con attenzione la riflessione di Sir Adrian Cadbury sugli aspetti strategici del “sistema che permette di dirigere e controllare le aziende”, ottimamente sintetizzata in “Leadership e corporate governance”, trascrizione della lectio tenuta alla Luiss nel maggio 2007.

In questo testo, edito da Il Sole24ore, l’autore, che, ricordiamo, è stato direttore della Bank of England dal 1970 al 1994, cerca di riscrivere i termini una visione con l’occhio rivolto al presente delle trasformazioni nella gestione d’impresa, operazione che assume maggiore credibilità anche in ragione del suo aver ricoperto posizioni di massimo livello nell’economia.

Il punto di partenza del ragionamento di AC è che il potere acquisito dalle forze del mercato in conseguenza del declino del settore statale ha ampliato l’impatto delle aziende private sulla società ponendo il problema di un “equilibrio fra obiettivi economici e sociali e tra fini individuali e comuni”.

Il compito di tutela dell’interesse sociale e comunitario, prima rappresentato dallo Stato in qualità di azionista dell’impresa, è stato trasferito agli investitori sui quali grava l’onere di “controbilanciare” la potenza delle corporations, non soggette alla giurisdizione di una singola nazione.

Nondimeno, la funzione di guidare la macchina aziendale sulla giusta rotta dipende dall’assunzione di responsabilità del Consiglio d’Amministrazione, “ponte tra l’azienda e il mondo esterno”. A questo organismo compete una leadership collettiva che acquista valore se ben esercitata non soltanto per l’impresa in sé ma per “la posizione competitiva di un Paese”.

Per essere all’altezza del ruolo, decisivo sul piano della governance, ogni CdA deve possedere saggezza, esperienza e senso dell’orientamento, conformandosi liberamente, in quanto proprio convincimento, alle linee guida della CG. I suoi membri inoltre devono avere capacità e competenze, lavorare duramente ed in sinergia per ottenere risultati.

Pure, il buon funzionamento di questo organo riposa anche sull’attività di chairmanship. I presidenti con la loro visione d’insieme devono rendere la squadra vincente e valorizzare al massimo le risorse a disposizione integrando “le abilità e le percezioni di tutti coloro che siedono nel board”. Le qualità richieste per un chairman sono capacità di ascolto, apertura ed equilibrio.

Tenere le redini della leadership di un CdA è una forma d’arte – sostiene Adrian Cadbury – paragonabile all’opera di un direttore d’orchestra.