«Guardate il mondo oggi, osservate cosa sta succedendo. Quali sono le forze più grandi che stanno spingendo il mondo nella giusta direzione?». Con questa domanda Thornbjord Jagland, presidente del comitato dei Nobel, rispondeva nei giorni scorsi all’Associated Press che gli chiedeva anticipazioni sull’identità del premio Nobel per la Pace 2011.
Molti osservatori ritenevano probabile un riconoscimento a un leader della primavera araba, uno dei grandi fatti di questo 2011. Ma il comitato norvegese (la cui composizione poteva forse suggerire un indizio, visto che l’unico uomo è il presidente, le altre quattro sono donne) è andato forse un po’ oltre le aspettative. La primavera araba, ma non solo. Il premio è andato a tre donne: Ellen Johnson-Sirleaf, presidente della Liberia, prima donna presidente della storia africana. La connazionale Leymah Gbowee, attivista per la pace, fondatrice del movimento Women in Peacebuilding Network (Wipnet) che certo ha contribuito parecchio a preparare il terreno per l’elezione della Johnson-Sirleaf. E infine Tawakkul Karman, leader della protesta yemenita, che ha subito dedicato il premio alla primavera araba.
La commissione di Olso le ha scelte per «la loro battaglia non violenta per la sicurezza delle donne e per i diritti delle donne alla piena partecipazione all’impegno per la costruzione della pace». Prosegue il comunicato ufficiale: «Non possiamo raggiungere la democrazia e la pace nel mondo senza che le donne ottengano le stesse opportunità degli uomini di influenzare lo sviluppo a tutti i livelli della società».
Ellen Johnson-Sirleaf è stata premiata in quanto «prima rappresentante del gentil sesso democraticamente eletta presidente in Africa» che ha «contribuito ad assicurare la pace alla Liberia, a promuoverne lo sviluppo economico e sociale, e a rafforzare la posizione delle donne».
La “lady di ferro africana”, presidente dal gennaio 2006, è nata nel 1938. Formazione economica, con tanto di Mba ad Harvard, ha lavorato per la Banca Mondiale e per Citibank in Africa. Ha contribuito alla pacificazione di un paese dilaniato da 14 anni di guerra civile. E’ fra le 100 donne più influenti del pianeta secondo la classifica di Forbes, che le assegna il 62esimo posto.
Fra le protagoniste assolute dell’impegno contro la guerra civile, la 39enne Leymah Gbowee che, scrive il comitato dei Nobel, «ha mobilitato e organizzato le donne superando barriere etniche e religiose per far finire la lunga guerra in Liberia e per assicurare la partecipazione delle rappresentanti femminili alle elezioni».
Con il movimento da lei fondato nel 2002, Women of Liberia Mass Action for Peace, ha unito le donne musulmane e cristiane nella lotta non violenta simboleggiata dagli abiti bianchi che le signoe indossavano organizzando incontri di preghiera e manifestazioni. Nata a Monrovia, anche lei ha studiato negli Usa, alla Eastern Mennonite University in Virginia. E’ direttore esecutivo della Women Peace and Security Network Africa (sede ad Accra, in Ghana) associazione per i diritti delle donne e per il loro appoggio alla prevenzione e alla soluzione dei conflitti.
Infine, un’altra attivista, la 32enne yemenita Tawakkul Karman che «prima e durante la primavera araba ha giocato un ruolo fondamentale nella battaglia per i diritti delle donne e per la democrazia e la pace in Yemen». Leader della protesta contro il regime del presidente Ali Abdallah Saleh, giornalista, fondatrice dell’associazione Giornaliste senza catene, militante del partito islamico e conservatore Al Islah, primo gruppo di opposizione, nel gennaio di quest’anno è stata incarcerata e poi rilasciata sotto la pressione delle manifestazioni in suo sostegno.
Fra i moltissimi commenti a questi tre premi Nobel, quello del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: «La scelta di premiare tre donne direttamente impegnate nel rinnovamento democratico nei rispettivi Paesi riconosce la straordinaria originalità del contributo femminile all’avanzamento del progresso civile e sociale nel mondo contemporaneo».