Poco lavoro in Italia, laureati compresi. Una recente indagine condotta dal consorzio AlmaLaurea dipinge un ritratto abbastanza cupo dei giovani italiani in possesso di un titolo di studio di alto livello, sempre più disoccupati, precari e spesso pagati meno di quanto le mansioni svolte e le competenze acquisite consentirebbero.
Per i laureati calano le opportunità di lavoro, e anche coloro che riescono a esercitare la professione devono spesso accontentarsi di uno stipendio da fame e di un contratto a termine. Questi sono i dati resi noti dal “XIV Rapporto annuale sulla condizione occupazionale” presentato in questi giorni, scaturiti dal monitoraggio delle condizioni di vita e lavoro di circa 400 mila laureati in varie discipline.
Se la disoccupazione tra i laureati è aumentata in un anno di tre punti percentuale, portandosi dal 16% al 19%, le cifre più sconfortanti riguardano i settori di studio finora “graziati” dalla crisi economica, ambiti nei quali fino a poco tempo fa trovare lavoro era un’impresa abbastanza semplice: si parla dei medici, degli ingegneri, ma anche di altri professionisti laureati in architettura e giurisprudenza, allo stato attuale sempre più coinvolti nella crisi del mercato del lavoro nonostante gli studi altamente specialistici.
Dal punto di vista della stabilità lavorativa, inoltre, solo il 42,5% dei laureati di primo livello e il 34% di coloro che possiedono una laurea specialistica possono vantare un contratto di lavoro a tempo indeterminato, mentre cresce la diffusione del lavoro nero e del precariato. Non va meglio in tema di retribuzioni, basti pensare che a dieci anni dalla discussione della tesi un laureato guadagna, in media, 1600 euro mensili, valore che si porta fino a 1400 euro nel caso di lauree in psicologia o architettura, e scende di altri 100 euro per i laureati in Lettere.
A rendere il quadro descritto finora ancora più grigio sono i dati relativi alla soddisfazione personale dei giovani italiani: nella maggioranza dei casi, infatti, coloro che trovano un’occupazione sono spesso costretti a svolgere mansioni lontane dal percorso di studi affrontato, e sempre più spesso le conoscenze e il bagaglio di competenze che ci si porta dietro dall’Università serve a poco in ambito lavorativo.
Cosa si può fare per migliorare questi dati? Secondo il direttore di AlmaLaurea Andrea Cammelli le cifre sconfortanti sono il risultato di una “mancata” politica finalizzata a valorizzare il titolo di studio, ma anche della carenza di investimenti nella forza lavoro giovane e specializzata: “Si tratta di un fenomeno piuttosto preoccupante ma del resto basta dare un’occhiata agli investimenti fatti in questo periodo dal nostro Paese in questo settore. Francia, Germania, tutti i Paesi europei hanno investito di più nelle professioni qualificate per uscire dalla crisi, l’Italia è l’unica controtendenza. Abbiamo una percentuale di laureati modesta rispetto alla media Ocse, abbiamo una classe dirigente di oltre 55 anni poco scolarizzata e per di più investiamo pochissimo su questo fronte“.