Accedere ai ruoli dirigenziali e avere successo come manager è quasi impossibile senza avere alle spalle almeno un’esperienza di lavoro all’estero: una teoria supportata dalla società di consulenza Spencer&Stuart, che mette in evidenza l’importanza della formazione internazionale per raggiungere il successo professionale.
Gli incarichi all’estero rappresentano sempre ottime opportunità per maturare nuove competenze e prendere confidenza con le altre culture, ampliando la propria prospettiva, il senso pratico e affinando la capacità di tolleranza. Fondamentale, poi, è potenziare la conoscenza delle lingue straniere, indispensabile a qualsiasi livello dirigenziale, come afferma Reinhold Thiele della Spencer&Stuart,
«Per quanto riguarda gli incarichi gestionali di primo e secondo livello, è quasi impossibile ricoprire questi ruoli senza aver maturato un’esperienza internazionale.»
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A queste teoria si affiancano gli studi compiuti dalla Cranfield School of Management, che ha classificato le esperienze lavorative internazionali in quattro tipologie, ciascuna con i suoi vantaggi: dal “Short-term expat assignment” (breve incarico all’estero che dura meno di un anno) si passa al “Long-term expat assignment” (incarico di oltre 12 mesi), ai quali si aggiungono il “Frequent flyer” (viaggi frequenti ma solo con brevissime permanenze) e il “Commuter” (recarsi all’estero ne giorni feriali facendo ritorno in patria per i fine settimana).
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«Dal punto di vista dei manager che vivono e lavorano all’estero, i benefici per la carriera sono molteplici. Anche se il trasferimento è a breve termine l’esperienza è un valore inestimabile. Spesso l’unico modo per capire un’altra cultura anche a livello aziendale è quello di immergersi in essa, in particolare nelle economie più giovani come la Russia e la Cina.»