Inesigibilità e svalutazione dei crediti

di Nicola Santangelo

6 Agosto 2010 09:00

Per superare la crisi, molte aziende tendono ad alimentare il commercio, trascurando le potenziali insolvenze dei propri clienti: gli effetti delle perdite su crediti ai fini delle imposte sul reddito e ai fini contabili

Giunti a metà anno 2010, momento in cui – secondo gli esperti – le imprese avrebbero definitivamente superato la congiuntura, le aziende e gli imprenditori che non si sono arresi e che sono determinati a sostenere la propria attività sfruttando, hanno a disposizione soluzioni fiscali e di business per contrastare la crisi. Vediamo quali:

  • incentivo Tremonti-ter per la deduzione del 50% sul costo di acquisto di macchinari nuovi;
  • deduzione interessi passivi entro il 30% del risultato operativo lordo di ammortamenti e canoni leasing, e possibilità di rimandare agli esercizi successivi la quota eccedente (solo per le società di capitali);
  • svalutazione rimanenze: il minor valore attribuito alle rimanenze è deducibile da Ires e Irap;
  • sospensione per dodici mesi del pagamento della quota capitale della rata del mutuo o di canoni di leasing immobiliare;
  • rateizzazione imposte e somme iscritte a ruolo;
  • riduzione del costo del lavoro;
  • incentivazione vendite e fidelizzazione cliente.

Quest’ultima strategia è sicuramente quella più perseguita dalle Pmi. Nella maggior parte dei casi, infatti, la mission delle imprese è vendere il proprio prodotto o servizio ed ampliare il portafoglio clienti, per impiantarsi con maggior stabilità nel mercato.

Di questo viene dato mandato ai sales engineer, professionisti ed esperti delle vendite dotati di un adeguato grado di autonomia operativa che, analizzando la richiesta dei clienti, mirano a concludere contratti, creare nuove opportunità di business e raggiungere gli obiettivi quantitativi e qualitativi assegnatigli.

In pratica, alle imprese clienti vengono offerti sconti aggiuntivi in caso di acquisto di elevate quantità di articoli e, al contempo, si accendono debiti verso i propri fornitori. Parallelamente a ciò si evidenzia un sostanziale aumento al valore della produzione.

Obiettivo: aumento di commesse e ricavi, soddisfazione dei clienti e dilazione sui tempi di pagamento da parte dei fornitore. Ma attenzione, perché con l’incremento delle vendite e dei crediti verso i clienti, l’aumento del rischio di insolvenza da parte di questi ultimi diventa direttamente proporzionale: è assodato che la crisi abbia comportato una maggiore incidenza dei crediti esigibili, per cui diviene importante che l’imprenditore tenga conto di un accantonamento per rischi su crediti.

L’articolo 2426 del Codice Civile prevede l’iscrizione in bilancio dei crediti al valore presumibile di realizzazione. Per i crediti non incassati per insolvenza del cliente, è prevista la deducibilità ai fini Ires.

È importante, però, che tale insolvenza risulti da elementi certi e precisi quali procedure concorsuali aperte entro 31 dicembre o atti giudiziari che attestino la mancanza di attività realizzabili.

Inoltre, è deducibile l’accantonamento annuo nei limiti dello 0,5% del valore dei crediti in bilancio. La deduzione non è più ammessa quando l’ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti ha raggiunto il 5% del valore nominale o di acquisizione dei crediti risultanti in bilancio alla fine dell’esercizio.

La valutazione dei crediti inesigibili va fatta nel seguente modo: analizzare singolarmente i crediti stessi; stimare le perdite che si presume di subire; analizzare l’andamento dei crediti scaduti; valutare le condizioni economiche dei creditori.

In altri casi è possibile valutare la solvibilità dei crediti attraverso una procedura matematica come ad esempio l’applicazione di una percentuale dei crediti (si pensi, ad esempio, alla società che decide di accantonare il 5% dei crediti).

Il comma 5 dell’articolo 101 del TUIR consente di sottrarre dalla base imponibile fiscale le perdite su crediti solo se risultano da elementi certi e precisi, riscontrabili con apposita documentazione.

Stessa intransigenza per la cessione del credito pro soluto. Anche in questo caso è necessario dimostrare che il credito è risultato inesigibile attraverso l’attivazione di una procedura di recupero. Non è necessario dimostrare nulla nel caso il creditore sia soggetto a procedure concorsuali.

L’impresa che sceglie di dedurre le perdite su crediti o prorogare lo storno agli esercizi successivi deve considerare l’eventuale esercizio di competenza. Il Testo Unico delle Imposte sul Reddito non impone l’esercizio in cui la deduzione deve essere operata. A fare ciò, infatti, è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza 16330/05 che ha individuato, come esercizio di competenza, quello in cui si ottiene la certezza che il credito non sarà più recuperato. Tale periodo, in caso di procedure concorsuali, coincide con l’apertura della stessa. Di contro la Cassazione nega al contribuente la facoltà di imputare la perdita secondo propria volontà.

Anche il principio contabile nazionale Oic 15 si è espresso in tal senso, precisando che le perdite su crediti per inesigibilità non devono gravare sul conto economico degli esercizi futuri in cui esse si manifesteranno con certezza, ma piuttosto – nel rispetto dei principi della competenza, della prudenza e della determinazione del valore di realizzo dei crediti – sull’esercizio in cui le perdite si possono ragionevolmente prevedere.

Pertanto, per la rilevanza fiscale della perdita, l’impresa – entro lo scorso 31 dicembre – avrebbe dovuto acquisire ogni documentazione probante dell’insolvenza del debitore: procedure esecutive infruttuose, dichiarazioni di fallimento, transazioni stragiudiziali.

Informazioni sui crediti devono essere ampiamente fornite in nota integrativa e nella relazione sulla gestione. In particolare devono essere motivati i rischi che si ritiene di affrontare in merito all’esposizione di eventuali perdite derivanti dal mancato adempimento delle obbligazioni dei propri clienti.