In sede di scioglimento della comunione dei beni, l’omesso inserimento di un bene nella dichiarazione di successione non influisce sulla riduzione dell’asse ereditario del defunto: così si è espresso il Consiglio del Notariato con lo studio tributario n. 24-2015/T.
Scioglimento comunione dei beni
È bene rimarcare che lo scioglimento della comunione dei beni produce, soprattutto se esistono atti dichiarativi, l’insorgenza di numerose questioni di natura tributaria, tali da considerare come “vendita” il maggior valore della quota di diritto assegnato e superiore al 5% del totale, e “permuta” l’assegnazione incrociata di beni che abbiano una provenienza diversa.
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Per quanto riguarda la divisione, questa resta assoggettata all’imposta di registro, come previsto dal D.P.R. n. 131/1986, nella parte che concerne gli atti dichiarativi se riguarda un insieme di beni acquisiti con lo stesso titolo e nel caso in cui si fatta salva la proporzionalità delle quote del diritto. In questi casi le difficoltà sono collegate all’insorgenza di rettifiche da parte del Fisco, che si richiamano a valutazioni divergenti rispetto a quelle poste in essere dai conviventi e che producono l’emersione dei “conguagli fittizi”.
Se il conguaglio supera il 5% della quota di diritto, anche in presenza dell’accollo dei debiti della comunione, poiché la massa comune nelle comunioni ereditarie è data dal valore dell’asse ereditario netto individuato attraverso l’estensione dei criteri alla base dell’applicazione dell’imposta di successione, è necessario applicare l’aliquota utilizzata per i trasferimenti mobiliari, fino al raggiungimento dell’ammontare totale dei beni e dei crediti, e attraverso l’applicazione dell’aliquota prevista per i trasferimenti di beni immobili per la parte che eccede.
Divisioni non ereditarie
Per le divisioni non ereditarie lo studio individua diverse fattispecie: mettendo da parte le ipotesi di comunione nascente da un unico titolo, per le quali si innesca una questione fiscale collegata alla riunione volontaria di più masse, con la conseguente maggiore tassazione, la comunione deve essere unica e seguire le regole degli atti dichiarativi in tutte le seguenti ipotesi:
1) A e B comprano il fondo tusculano ed il fondo corneliano; muore A e gli succedono C e D; assegnando a B il fondo tusculano ed agli eredi di A il fondo corneliano non si verifica alcuna molteplicità di masse ed il negozio segue le regole di tassazione degli atti dichiarativi.
2) A e B comprano due case. A vende la sua quota di 1/2 a B e C. La divisione con cui una casa, del valore di 3/4 della massa, viene assegnata a B e l’altra, del valore di 1/4 della massa viene assegnata a C, pur vedendo in capo a B due titoli, è divisione senza masse plurime.
3) A e B comprano vari immobili con unico atto; a B succedono mortis causa figli e moglie; A vende la sua quota a C il quale, con successivo atto, compra anche la metà della quota spettante agli eredi di B. Procedendo alla divisione tra C e gli eredi di B permane l’unicità del titolo originario e non si ricade nella fattispecie della masse plurime.
Divisioni ereditarie
Per la divisione ereditaria, che può derivare dallo scioglimento della comunione in seguito a successione, è necessario applicare l’ultimo comma dell’art. 34 del TUR (Testo unico dell’imposta di registro), che considera plurime le masse derivanti da un ultimo titolo rappresentato da un atto tra vivi, cosa che accade nel caso in cui un genitore dona ai figli beni di proprietà esclusiva e questi pongono in essere la divisione, considerando da un lato i beni donati, dall’altro quelli ereditati in precedenza dall’altro genitore.
Lo studio rileva che in tutte le formulazioni della disposizione non compare mai il fenomeno della collazione (l’atto con cui i figli, i loro discendenti e il coniuge del defunto, conferiscono alla massa ereditaria – intesa come l’insieme dei beni che saranno oggetto di eredità – tutti i beni mobili e immobili ricevuti a titolo di donazione dal defunto quando questi era in vita) e che l’accollo dei debiti della comunione viene considerato come un conguaglio. Può succedere però che, a fronte di una divisione tra due coeredi aventi diritto ciascuno alla quota di metà e di cui uno conferisca per imputazione, non tener conto della collazione nell’assetto tributario della divisione comporta di far risultare un minor assegno al conferente ed un maggior assegno all’altro condividente, con conseguente applicabilità dell’imposta di vendita sull’eccedenza del 5% della quota di diritto.
Allo stesso tempo è evidente che la disciplina tributaria non analizza i fenomeni di prelevamento che fanno da contraltare alla collazione per imputazione. Questi, che rientrano a pieno titolo nel procedimento di scioglimento della comunione, producono un effetto che potrebbe rappresentare un “apporzionamento eccedente”. Le passività deducibili sono invece quelle presenti all’apertura della successione, e sono quelle che costituiscono il passivo da sottrarre ai fini dell’identificazione dell’asse ereditario netto, ai sensi dell’art. 34 TUR.
Al fine dell’individuazione dell’imposta di successione, l’asse ereditario netto potrebbe tenere fuori dei beni esenti dall’applicazione del tributo, ma che sono necessari per individuare l’entità dell’asse ereditario e quindi la sua equa divisione.