Il monitoraggio del FMI (Fondo Monetario Internazionale) per la valutazione dell’economia italiana si è concluso con una sostanziale promozione: l’Italia ne viene fuori come un «modello per il risanamento di bilancio e di riforme favorevoli alla crescita», con un incoraggiamento a proseguire sulla strada delle riforme (a partire da quella sul mercato del lavoro).
Ma con un monito: fare qualche sforzo in più sul fronte liberalizzazione degli Ordini professionali, spending review e misure per l’accesso al credito delle PMI.
Attenzione, sottolinea Reza Moghadam, direttore del Dipartimento europeo del FMI, il lavoro per «rivitalizzare la crescita e ridare dinamismo all’economia» è «solo all’inizio»: il PIL di questo 2012 sarà negativo (-1,9% la stima del FMI), ma il 2013 vedrà il ritorno alla crescita e soprattutto, se l’Italia riuscirà a proseguire sulla strada di riforme intrapresa negli ultimi mesi, il PIL potrebbe aumentare del +6% nel medio periodo (nel giro di cinque o sei anni).
Un’iniezione di fiducia all’Italia dopo la tegola del declassamento Moody’s al rating di 26 banche italiane e un ottimo biglietto da visita per il premier Mario Monti, invitato dal presidente americano Barack Obama ad aprire i lavori della prima sessione del G8 a Camp David dedicata alla crescita. Ma anche una boccata d’ossigeno in un clima europeo non facile: una situazione il FMI sottolinea come il successo delle politiche economiche italiane dipenda dal modo in cui l’Europa riuscirà a uscire dalla crisi e a spingere sulla crescita.
Vediamo in dettaglio i termini del report FMI.
Misure per le PMI
Per aiutare le piccole e medie imprese italiane gli esperti di Washington indicano precise aree di intervento su cui agire:
- riduzione dei costi di avvio per nuove imprese.
- semplificazione fiscale e normativa per stimolare il business.
- accesso al credito anche con prestiti “risk based”.
- sviluppo di venture capital e private equity per aumentare la disponibilità di capitale di rischio.
- riforme per aumentare gli investimenti diretti esteri (fra i più bassi dell’area Ocse).
Riforma del lavoro
Al mercato del lavoro il report dedica ampi spazi, sottolineando l’importanza di spingere sulla riforma in corso e mettendo l’accento sull’alta disoccupazione giovanile. Bene dunque la riforma del lavoro, che aumenta la flessibilità in uscita, promuove i contratti e tempo indeterminato e l’apprendistato, rende più universale la copertura per i disoccupati.
Fra gli sforzi ulteriori necessari, oltre a quelli a favore dell’occupazione giovanile, il FMI inserisce anche la riduzione delle tasse sul lavoro delle donne, anzi delle mogli che decidono di tornare al lavoro (sulla base della considerazione che bisogna aumentare la quota di occupazione femminile, fra le più basse dell’Ocse).
Liberalizzazioni, privatizzazioni, energia
Sono misure che tradizionalmente il FMI consiglia, non solo all’Italia. Comunque, c’è l’indicazione di spingere sulla liberalizzazione degli Ordini professionali, sulle privatizzazioni, sul completamento della separazione fra produzione e distribuzione del gas entro la fine dell’anno, una misura che secondo gli esperti di Washington aumenterà la competizione sul mercato e magari produrrà anche un abbassamento dei prezzi dell’energia, che (e le aziende lo sanno bene) sono fra i più alti d’Europa.
Un’altra riforma indicata, che fra l’altro è di interesse per il mondo delle imprese, riguarda la velocizzazione dei tempi della giustizia civile.
Tasse, tagli e spending review
Le misure che l’Italia ha adottato per alimentare l’avanzo primario (riforma delle pensioni, provvedimenti fiscali, lotta all’evasione) porteranno il surplus di bilancio al 4% del PIL nel 2013, il più alto nell’area euro. Le misure da una parte comportano effetti recessivi, dall’altra contengono i germi per uno sviluppo sostenibile dell’economia.
Bisogna però fare passi avanti, ad esempio riducendo le tasse sul lavoro e in genere tagliando le spese (qui è importante spingere sulla spending review, si sottolinea) e facendo leva sulla lotta all’evasione, sempre con il fine di ridurre le tasse. Misure come queste (aggiungendo anche ben mirati investimenti in infrastrutture), produrrebbero un aumento del PIL di un punto percentuale nel lungo periodo.
In generale, lo sforzo deve essere quello di rendere il consolidamento fiscale più “growth friendly”, ovvero maggiormente orientato alla crescita.
Il sistema bancario
Qui, dopo l’ennesimo taglio delle agenzie di rating, arriva un giudizio più distensivo sulle banche italiane, che hanno punti di forza rappresentati dalla solidità del capitale e dalla bassa esposizione ai rischi. Sono però in crescita le sofferenze (all’11%, dal 6% pre crisi).
Le iniezioni di liquidità della BCE hanno contribuito a ridurre l’impatto sul credito, e in genere il sistema bancario deve riuscire a mantenere le sue posizioni di solidità in termini di capitale, eventualmente rafforzandosi, ma senza ridurre l’erogazione di credito.
Verso il G8, il report Ocse
Quella della crescita non è una questione italiana, ma europea e internazionale. Sarà al centro dell’agenda del G8 del fine settimana negli Usa, con particolare attenzione alle questioni relative alla crisi del debito europea e agli sviluppi della caso Grecia.
Nel frattempo, un rapporto congiunto dell’ILO (Internationl Labour Organization) e dell’Ocse sottolinea che la crisi economica mondiale dal 2008 a oggi ha bruciato 21 milioni di posti di lavoro. Questo è il numero di posti di lavoro che i 20 Grandi dovrebbero creare per far scendere la disoccupazione ai livelli del 2008.
I disoccupati nei paesi del G8 sono 109 milioni, senza contare gli scoraggiati. I giovani senza lavoro sono 37 milioni. In tutti i Paesi del G20 il tasso di disoccupazione giovanile (in media al 19,2%) è superiore di due o tre volte rispetto a quello degli adulti.
Alto e in crescita il numero dei disoccupati di lunga durata: nel terzo trimestre del 2011, la percentuale di chi non aveva più un lavoro da oltre 12 mesi era in Francia al 43% delle persone in cerca di lavoro, in Germania al 47,2%, in Italia al 51,2%, in Spagna al 43,2%, in Giappone al 44,2%, in Sud Africa al 67,9%.
Italia maglia nera per aumento del numero di disoccupati nell’ultimo anno, +23,4%, a 2 milioni 506 mila. In media nella UE l’aumento dei disoccupati è pari al 9,4%. Dopo l’Italia, che ha appunto il record negativo, vengono Spagna, +15,6%, e Gran Bretagna, +5,9%.