Causale nel contratto a termine: i poteri del giudice

di Barbara Weisz

1 Agosto 2018 15:48

Come si valutano la causale e il giustificato motivo oggettivo, fra esigenze produttive dell'azienda e diritto al lavoro: poteri del giudice, contenzioso, indennità economiche, il dibattito sulla riforma del contratto a termine.

La principale obiezione all’utilizzo della causale nei contratti a termine riguarda il rischio e i costi del contenzioso: fra l’altro, le norme che impongono all’imprenditore di motivare una sua scelta, sono suscettibili a un’ampia discrezionalità da parte dei giudici. La strada alternativa è quella di mettere un paletto economico al licenziamento, che quindi comporti un costo per l’impresa che licenzia, facendo da filtro alle scelte. Il punto fondamentale, sottolinea Piero Ichino su Lavoce.info, è che «il vaglio della validità del licenziamento o dell’assunzione a termine» è soggetto «a una elevatissima alea giudiziale», e questo dal punto di vista della protezione del lavoro non ha senso».

Legittimità del licenziamento

La tecnica di introdurre causali, o di prevedere un giustificato motivo oggettivo, prosegue giuslavorista, «è stata inaugurata nel 1966 per la disciplina dei licenziamenti».

Il motivo oggettivo del licenziamento consiste «nell’interesse dell’imprenditore a evitare una perdita futura nel bilancio del singolo rapporto di lavoro», e «il giudice valuta se la perdita attesa sia di entità tale da giustificare il sacrificio del diritto al lavoro del singolo interessato».

Qui, sottolinea il giuslavorista:

Sorge un primo problema: qual è la soglia oltre la quale la perdita attesa giustifica il licenziamento? La legge non lo dice. L’esito del giudizio dipende dunque dall’orientamento del singolo magistrato: il licenziamento sarà dichiarato legittimo o illegittimo a seconda dell’orientamento più pro-business o più pro-labor di chi deve decidere la controversia. E già questo è un esito assai poco apprezzabile, sia dal punto di vista economico, sia da quello dell’equità.

Vengono poi sottolineate altre argomentazioni a sostegno della difficoltà applicativa di criteri come la causale nei contratti a termine o il giustificato motivo oggettivo di licenziamento. In ogni caso, si tratta di normative che, in effetti, producono contenzioso. L’introduzione della causale sul contratto a termine nel 2001, ha avuto «l’effetto di una notevole dilatazione del contenzioso giudiziale sul lavoro a tempo determinato», ricorda Ichino.

Jobs Act

Il Jobs Act ha introdotto nuovi paletti, non discrezionali, come il tetto al numero di assunzioni a termine di un’impresa (il 20%), da un parte e l’abolizione dell’articolo 18 dall’altra, introducendo in luogo del reintegro, in caso di licenziamento illegittimo, un indennizzo economico. L’insieme di queste norme, ha comportato una drastica riduzione del contenzioso, mentre «non si è registrato un aumento apprezzabile della probabilità di essere licenziati, né nel 2012 quando l’Italia era ancora nel pieno della crisi, né nel 2015, quando ne stava finalmente uscendo».

L’abolizione della causale ha provocato un aumento del numero di contratti a termine, che però, sottolinea il giuslavorista, restano quantitativamente in linea con gli altri Paesi europei.

Decreto Dignità

E’ un argomentazione molto simile a quella di Confindustria, portata avanti con particolar insistenza negli ultimi tempi nell’ambito del dibattito sul Decreto Dignità.

Il provvedimento, attualmente all’esame del Parlamento per la conversione in legge, prevede una stretta sui contratti a termine che reintroduce il causalone dopo i primi 12 mesi. Uno strumento, rileva Confindustria, che aumenta il rischio di contenzioso, sgradito alle imprese, senza rappresentare una reale tutela per il lavoratore. Il testo in ogni caso è rimasto immutato nel corso del passaggio alla Camera, escludendo però dall’applicazione i contratti che scadono fino al prossimo 31 ottobre.

C’è in pratica un periodo cuscinetto per i rinnovi e le proroghe (non per i nuovi contratti, che invece non possono prevedere la causale oltre i 12 mesi). I rinnovi sono al massimo quattro, nell’arco di due anni. Il decreto incentiva le assunzioni a tempo indeterminato prolungamento al 2020 lo sgravio contributivo del 50% per i lavoratori fino a 35 anni (a regime, la misura copre solo i giovani entro i 30 anni), e le trasformazioni dei contratti.