Il primo anno di un Ceo in azienda è cruciale. Se, per esempio, il grande capo in questo lasso di tempo porta a termine un’importante acquisizione, nel lungo periodo vedrà le azioni della società salire più della media del settore. Viceversa, le operazioni di disinvestimento, per esempio la vendita di asset, porta a un beneficio più immediato, nell’arco di uno o due anni, ma non ha effetti duraturi. Ad analizzare le strategie dei numero uno con particolare attenzione alla politica di merger and acquisition e alla sua tempistica è una ricerca dell’M&A Research Center della Cass Business School di Londra, che ha analizzato 276 operazioni realizzate dai Ceo in Europa nel primo anno di incarico fra il 1997 e il 2009.
Il campione è particolarmente concentrato su quattro paesi, Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna, ma ci sono anche aziende italiane, per esempio la Davide Campari SpA, guidata da Bob Kunze-Concewitz, e la Fiat (lo studio si riferisce a due mandati, quello di Giuseppe Morchio prima e di Sergio Marchionne poi).
Innanzitutto, un Ceo in media resta in carica per poco più di quattro anni (precisamente, quattro anni e quattro mesi). Quindi il Ceo ha poco tempo per impostare e raccogliere i frutti della propria strategia.
Le scelte del capo dipendono molto dal modo in cui è stata fatta la nomina. I tipi più frequenti di successione sono tre: l’uscita forzata del predecessore (che non ha raggiunto gli obiettivi o è in disaccordo con gli azionisti) sostituito internamente. Una nomina esterna, spesso legata alla necessità di rinnovamento (una nomina interna in genere è meno costosa e più incline a preservare la cultura aziendale esistente, un esterno è più costoso e viene spesso scelto perché è necessario un cambiamento).
Il normale turnover, per esempio quando il Ceo va in pensione o è alla fine di un mandato pianificato: in genere la nuova nomina non è determinata da pressioni di cambiamento, magari è lo stesso Ceo a scegliersi il successore, il quale è più orientato a seguire le linee guida precedentemente impostate.
In estrema sintesi, secondo l’analisi le condizioni “ottimali” in cui un nuovo Ceo realizza operazioni importanti nel primo anno di mandato sono le seguenti: se è stato nominato in sostituzione di un predecessore che è stato spinto alle dimissioni, se è stato nominato dall’esterno, se il rendimento delle azioni è sceso sotto il livello previsto prima della sua nomina, se la società ha una percentuale elevata di azionisti istituzionali.
Scott Moeller, Direttore del Centro Fusioni e Acquisizioni della Cass spiega: «Un nuovo CEO sa bene che non resterà sulla breccia per sempre e che ha un lasso di tempo limitato per dispiegare la sua influenza. Una piccola acquisizione potrebbe non bastare. Se si vuole lasciare il segno in un settore, se si vuole modificare l’ambiente, lo si deve fare in fretta. Le fusioni-acquisizioni realizzate in questa fase hanno migliori opportunità di riuscita, perché le motivazioni dei CEO sono generalmente fondate».
Se una grossa operazione nel primo anno di mandato è in genere di successo, accumulare più di un deal provoca debolezza nel lungo periodo. Come detto, le operazioni di acquisizione portano vantaggi nel lungo periodo, le cessioni sono più mirate a “fare cassa”, ma gli effetti benefici si esauriscono nell’arco di uno o due anni.
Infine, qualche differenza fra i paesi. I Ceo inglesi sono i più propensi alla strategia delle acquisizioni rispetto ai colleghi di Francia, Spagna e Germania. I tedeschi impiegano maggior tempo per fare la prima acquisizione (mediamente nel secondo anno). La Spagna è l’unico paese dei quattro in cui il mandato mediamente dura meno di 4 anni (3,1). L’età media dei manager che diventano numeri uno è fra i 50 anni (età media al momento della nomina dei Ceo inglesi) e i 54 (età media dei tedeschi).