Merkel, Sarkozy e Brown contro paradisi fiscali e bonus

di Emanuele Menietti

4 Settembre 2009 15:00

Francia, Germania e Gran Bretagna hanno da poco inviato una lettera congiunta per ridestare il dibattito su bonus e paradisi fiscali all'interno del G20. I tre premier mirano a una profonda revisione per scongiurare le storture verificatesi in passato

Francia, Germania e Gran Bretagna unite contro i bonus e i paradisi fiscali. Può essere riassunta così la lettera congiunta inviata dai tre paesi alla presidenza svedese dell’Unione Europea, un invito che giunge a pochi giorni di distanza dal prossimo Consiglio europeo e dal G20 previsto per il 24 e 25 settembre prossimi. La missiva porta le firme di Angela Merkel, Nicolas Sarkozy e Gordon Brown e riporta al centro del dibattito internazionale alcuni dei problemi maggiormente spinosi legati alla crisi del sistema finanziario. 

L’adesione della Gran Bretagna ha destato non poco scalpore considerata la precedente linea politica assunta dal governo britannico sulla delicata questione. Secondo gli osservatori, Gordon Brown avrebbe rotto gli indugi per dare un segnale forte principalmente al sistema politico del proprio paese, che fino a ora non aveva assunto alcuna posizione ufficiale in merito ai bonus e ai paradisi fiscali.

La conferma è giunta direttamente dal presidente Sarkozy, altro firmatario della missiva: «La lettera che invierò questo pomeriggio ai presidenti dei paesi dell’Unione Europea sui bonus conterrà una piccola sorpresa: non sarà firmata solo dalla signora Merkel e da me, sarà firmata anche da Gordon Brown. Anche gli inglesi comprendono che occorre regolamentare, che bisogna porre limiti e che ci sono degli scandali inaccettabili».

Nella lunga lettera inviata dai tre capi di governo emerge la volontà di trovare regole comuni per normare in maniera omogenea le remunerazioni variabili, inclusi i bonus che spesso portano a evidenti sproporzioni a danno dei consumatori e del sistema finanziario. Un punto sul quale Merkel, Sarkozy e Brown insistono particolarmente: «La remunerazione variabile, comprensiva dei bonus, dovrebbe essere mantenuta a un livello appropriato in relazione alla remunerazione fissa e deve dipendere dalle performance della banca, dall’unità del business e dai singoli individui».

Tale assunto interessa naturalmente anche gli emolumenti sotto-forma di pacchetti azionari: «Quando le stock option e le azioni sono ricevute come parte della remunerazione, non dovrebbero essere utilizzate o vendute per un appropriato periodo di tempo». Infine «la remunerazione variabile deve tener conto dei possibili sviluppi negativi. Ciò significa che i bonus garantiti devono essere evitati».

Secondo i tre capi di governo il pagamento della maggior parte dei bonus dovrebbe poi avvenire attraverso versamenti dilazionati nel tempo, in modo tale da poter essere sospesi nel caso di performance negative della banca. Tale eventualità potrebbe inoltre far scattare un malus per annullare il pagamento dei bonus.

Nicolas Sarkozy e Gordon Brown hanno poi accettato e fatto propria la proposta di Angela Merkel per riaprire il dibattito sul cosiddetto “azzardo morale” legato alle grandi banche spesso in grado di condizionare l’intero settore finanziario in caso di difficoltà, come dimostrato nel corso degli ultimi mesi. La lettera contempla la necessità di studiare nuove strategie per poter smantellare tale istituzioni ove necessario senca creare danni o forti instabilità nella totalità del comparto finanziario.

In questo quadro, già molto complesso, si inserisce infine l’ultimo grande e spinoso tema sollevato più volte dai tre premier: i paradisi fiscali. «Dovremmo trovare un accordo su una lista di contromisure che potrebbero essere adottate entro marzo 2010 per quei paesi che non avranno oggettivamente implementato gli standard internazionali legati allo scambio di informazioni fiscali» si legge nella lettera, che pone anche il problema di riformare in tempi brevi il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale.

L’obiettivo di Francia, Germania e Gran Bretagna è chiaramente teso a sortire due principali effetti: ridestare il dibattito all’interno del variegato consesso del G20 e collocarsi tra i paesi alla guida di una sostanziale riforma del sistema economico e finanziario. Una sfida molto complessa e che incontrerà numerose resistenze, ma sulla quale i tre capi di stato sembrano essere determinati a giocare tutte le carte a loro disposizione.