I manager di aziende pubbliche non potranno guadagnare più del tetto di 294mila euro annui stabilito dal decreto del governo Monti e approvato nelle commissioni Lavoro e Affari costituzionali della Camera.
La norma, approvata a grande maggioranza, sarà applicata fin da subito in tutte le amministrazioni dello Stato, mettendo fine alla diatriba sul fatto che tale norma non si applicasse ai contratti in corso e che pertanto non potesse essere applicata in via immediata.
La misura dà anche la facoltà al governo di disporre eventuali deroghe (“unicamente per le posizioni di più alto livello di responsabilità”) in attesa comunque che un emendamento al decreto sulle semplificazioni chiarisca definitivamente i dubbi interpretativi emersi nel corso della discussione parlamentare. “Le deroghe, comunque, non riguardano gli uffici di diretta collaborazione” ha detto l’ex ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta insieme al capogruppo democratico il Commissione Affari Costituzionali Gianclaudio Bressa.
Nel caso però in cui l’esecutivo scelga di derogare a questo tetto, è necessario ottenere di nuovo un parere delle Camere.
Purtroppo, però, fatta una legge si trovano sempre delle scappatoie: il documento approvato alla Camera dice che “andrebbero in particolare valutate con attenzione le attività lavorative stabili esclusive e continuative, fondate sull’incardinamento del personale nell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni e, dunque, su livelli tabellari e di base”. Queste possibili deroghe al tetto di 294mila euro sono state il motivo che ha scatenato il dissociamento della Lega nord, che ha votato contro temendo che tali eccezioni saranno di numero elevato togliendo quindi il senso di giustizia al provvedimento. Il ministro Patroni Griffi assicura che nessuno si discosterà dalla linea tracciata.
Nel testo finale, però, potrebbe anche essere inserita una direttiva agli enti territoriali (regioni, asl, province, comuni) affinché introducano lo stesso limite massimo per i loro manager, che potrebbe però perdere il riferimento al trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione dopo che alcuni parlamentari hanno fatto notare come tale parametro non sia oggettivo ma vari a seconda dell’anzianità del presidente di turno. In alternativa, dunque, potrebbe essere inserita nella disposizione originaria la cifra a cui attenersi: gli attuali 294mila oppure un più tondo 300mila.
Tutti temi su cui Patroni Griffi non si è finora sbottonato. “Valuteremo attentamente i pareri”, ha dichiarato il titolare di Palazzo Vidoni che ha però assicurato: “Andremo fino in fondo”. Come e quando lo deciderà il premier Mario Monti nelle prossime ore.