Il decreto ministeriale che consentirà il trattamento pensionistico a 65 mila lavoratori esodati non tutela i dipendenti del settore bancario: l’Abi lancia l’allarme, mettendo in evidenza come solo nelle banche i soggetti privi di reddito e in attesa di pensione siano 20 mila, e come solo una minima parte di questi sia compresa nella nuova normativa promossa dal Ministero del Lavoro.
La posizione dell’Abi nei confronti del decreto legge sugli esodati è emersa nel corso di un’audizione alla Camera presso la Commissione Lavoro, durante la quale sono intervenuti il direttore generale dell’Abi Giovanni Sabatini e il responsabile della commissione sindacale Francesco Micheli: “La riforma del mercato del lavoro non sembra contenere tutti quegli elementi necessari ad una effettivo miglioramento del quadro regolamentare”.
Il settore bancario sarebbe quindi coinvolto solo marginalmente nei provvedimenti emanati a favore degli esodati, una situazione che ha pesanti conseguenze per “l’attuazione dei piani di ristrutturazione aziendale“. Dei 20 mila lavoratori in attesa di pensione stimati dall’Associazione Bancaria, infatti, solo poco più di 17 mila sono inseriti tra i “salvaguardati” previsti dal decreto in merito ai settori dotati di fondi di solidarietà.
L’Abi ha diffuso un comunicato al fine di chiarire la sua posizione ed evidenziare le lacune del decreto del 2 giungo, nel quale si legge: ”Per quanto di interesse per le banche alla luce di verifiche effettuate informalmente presso l’Inps, risultano circa 13.000 i titolari di assegno straordinario del credito al 4 dicembre 2011 e circa 7.000 i potenziali percettori di assegno da data successiva (sulla base degli accordi collettivi intervenuti prima): è evidente come la ‘salvaguardia dei 17.710’ non sia quindi sufficiente a garantire l’intero fabbisogno di settore”.
Il nocciolo della questione riguarda, principalmente, una flessibilità in uscita carente e non adeguata alle necessità effettive dei dipendenti delle banche. “Molte delle misure previste, infatti, si tradurrebbero in un aggravio di costi per le imprese, senza le auspicate facilitazioni sul piano delle politiche attive del lavoro e della flessibilità di utilizzo del personale.”