L’insostenibile pressione fiscale all’italiana; parafrasando un noto best seller, lo screening condotto da Confesercenti, dimostra con dati alla mano, quanto sia diventato intollerabile sostenere il peso fiscale di un certo tipo, particolarmente se questo aumenta in modo esponenziale nell’arco di dodici anni. Sono aziende attive nel turismo, artigianato, commercio e industria a essere maggiormente vessate dalle cosiddette “imposte del terzo millennio”, che, tra il 2001 e il 2012, hanno rincarato la dose ampliando di 103 miliardi le entrate statali. Secondo l’analisi di Confesercenti, il balzello ha registrato un rincaro di nove miliardi rispetto agli anni precedenti, di conseguenza, lo Stato è riuscito a incamerare fino a 699 miliardi, inasprendo la pressione fiscale del 3,4%.
Dati preoccupanti che non aiutano a produrre impresa, tantomeno a investire nel nostro paese. Ancora più a rischio è lo scenario che si delinea nei prossimi anni; il divario creatosi tra il 45% di pressione fiscale e la riduzione della spesa pubblica, ferma al 30%, induce a una doverosa inversione di tendenza. In tal senso, esplicita la nota della confederazione: quale crescita economica si va auspicando con tutte queste tasse che gravano sui cittadini? Gli interventi più urgenti dovranno riguardare Iva, Imu, detassazione sulle tredicesime affinché non precipiti l’andamento nei consumi, anche per i beni di prima necessità..
Codacons ha voluto commentare questi dati e la reazione di Carlo Rienzi, presidente nazionale dell’associazione a difesa dei consumatori, non si è fatta attendere. Secondo Rienzi, mancherebbe del tutto, in Italia, una politica che tuteli famiglie e imprese dall’aumento scriteriato di tasse e costo della vita.
Allo stato attuale, la pressione fiscale rappresenta il maggiore ostacolo alla creazione di nuovi posti di lavoro, distruggendone quelli preesistenti senza peraltro essere in grado d’arginare l’avanzata del debito pubblico. Allo stesso tempo, conclude Confersercenti, ci si attende che gli schieramenti politici lascino da parte il linguaggio delle campagne elettorali, adottando scelte “non propagandistiche” in grado di ridurre simmetricamente debito pubblico e aggravi fiscali; ma anche l’attuale governo “tecnico” non può restare impassibile e si convochino, quanto prima, le parti sociali per un serio confronto sulla riforma fiscale.