Il bravo manager del terzo millennio

di Barbara Weisz

5 Dicembre 2018 13:46

Lavoro di squadra, motivazione, internazionalità, flessibilità, concretezza: uno studio di Federmanager e Ambrosetti su sfide, valori e competenze del bravo manager. Il gap manageriale delle PMI.

Nelle PMI italiane c’è un problema di management: non è una novità, una delle caratteristiche dell’imprenditoria familiare, fiore all’occhiello del Made in Italy, è tradizionalmente rappresentata dal difficile equilibrio fra gestione familiare e manageriale, ma ora ci sono nuovi numeri che quantificano questo gap, lo analizzano, e propongono soluzioni. Sono contenuti nel report di Federmanager, realizzato da The european House Ambrosetti, intitolato Bravi Manager Bravi: uno studio sul management efficace e responsabile.

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Partiamo dal contesto: in Italia le PMI producono quasi il 40% del valore aggiunto manifatturiero, impiegano quasi il 50% degli occupati del settore. Numeri quasi doppi rispetto a quelli di Francia, Germania e Spagna, che segnano un valore medio pari rispettivamente a 22% e 30%. La produttività, però, è più bassa di quella dei competitor internazionali. Fra i fattori critici che determinano questa perdita di produttività, il gap di managerializzazione e la qualità del management, che nel 70% è scelto all’interno della famiglia.

Il presidente di Federmanager Stefano Cuzzilla:

Alla scarsa managerializzazione delle imprese italiane si reagisce con una nuova cultura di impresa. Descriviamo le qualità del management italiano non certo per dire che siamo bravi, ma per aumentare il livello di consapevolezza su quanto strategico sia diventato avere in azienda le competenze giuste per innovare ed essere competitivi.

Il report ha mappato i comportamenti del management italiano, dividendo poi i risultati per sette aree di competenza. Eccole, in ordine di priorità: eccellenza operativa, imprenditorialità, flessibilità, gestione delle informazioni, accelerazione, comunicazione digitale, gestione della trasformazione digitale. In tutti i casi, il livello importanza segnalato dai manager è più alto di quello di effettiva adozione, ma il gap è sempre contenuto all’interno di un punto percentuale. Cinque i driver motivazionali prioritari, analizzati contro il loro opposto:

  • Altruismo: la spinta a prendere responsabilità mossa da un desiderio di gestire gli altri e le relazioni con un’attenzione al benessere comune. Questo atteggiamento prevale su interesse personale, desiderio di emergere, affermazione come gratificazione personale. Percentuali: 71% vs 29%.
  • Orientamento al futuro vs orientamento al passato: esercizio della responsabilità orientato a costruire nuovi orizzonti, o a valorizzare l’appartenenza a un’identità storica. Percentuali: 68% vs 32%.
  • Avventura vs stabilità: motivazione a spostarsi, cambiare, cercare nuove mete e nuove sfide, contro ricerca e costruzione di stabilità. Percentuali: 66% vs 34%.
  • Orientamento all’internazionalità verso orientamento al localismo: desiderio di incontrare nuove culture e nuove abitudini oltre i confini nazionali, verso la volontà di creare, un ambiente familiare costituito da un nucleo forte di relazioni e influenze. Percentuali: 55% vs 45%.
  • Orientamento alla tecnologia verso avversione alla tecnologia: si può amare la tecnologia in tutte le sue forme o avere un atteggiamento critico nei suoi confronti. Percentuali: 49% vs 51%.

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Sono poi stati identificati tre valori fondamentali del manager bravo, ovvero sincerità, democrazia, azione. La “sincerità”, intesa come trasparenza, rappresenta la propensione dei manager verso la condivisione delle informazioni, comune all’81% degli intervistati contro un 15% disposto a soprassedere sulla diffusione delle informazioni in favore di una maggiore gestione dei processi decisionali. Quanto al secondo valore guida, il 72% del campione ritiene che la leadership debba essere esercitata in modo democratico: per il 42% il processo decisionale deve avvenire mediante la consultazione allargata tra tutte le forze in campo mentre il 30% preferisce modalità di leadership a rotazione. Infine, l’orientamento all’azione nel 47% si risolve nel problem solving e nell’ottimizzazione delle risorse, mentre c’è un 21% di dirigenti che identifica il proprio ruolo nel “fare” piuttosto che nell'”essere” qualcuno. Si registra infine la persistenza dell’ottimismo del manager nella possibilità di fare la differenza, con particolare attenzione a cinque temi chiave: innovazione e cambiamento, miglioramento personale, etica e rispetto, sogno e immaginazione, tensione verso una cultura aziendale intesa come innovazione organizzativa e culturale.

Alla luce dell’indagine, emergono dieci indicazioni finali:

  1. Sviluppare il capitale sociale: la rete di relazioni tra le persone è il tessuto attraverso il quale si scambiano fiducia e competenze. In particolare, è diffusa l’esigenza di sviluppare le competenze strategiche e le capacità politiche per muoversi e produrre risultati nei contesti sempre più paradossali di oggi.
  2. Le competenze sono legate ai fattori critici di successo del business e non ai ruoli ricoperti dalle persone. L’identificazione delle direttrici è la responsabilità primaria del top management. Il nominalismo delle competenze è invece un fatto tecnico. Le competenze su cui investire devono essere poche.
  3. Talento aziendale: trasformare competenze e potenzialità dei singoli in risultati collettivi ripetuti nel tempo (routine di successo). Se a questa ripetizione si aggiunge una certa dose di diversità/originalità rispetto ai concorrenti si può parlare di talento aziendale.
  4. Fare ricerche sulla propria organizzazione per offrire dati al top management che facilitino la presa di decisione. Le informazioni utili al top management per prendere decisioni possono riguardare tre filoni: caratteristiche, ampiezza e concentrazione dei network (network analysis); presenza, articolazione e diffusione di “storie” nell’organizzazione (frame analysis) e andamento sincronico della motivazione (rispetto preferito a periodiche ricerche di clima).
  5. Diffondere la leadership per non dipendere da un leader. Le organizzazioni flessibili e veloci sono policefale. La policefalia (leadership diffusa) consiste nella capacità di analizzare i problemi e nella consuetudine a risolverli.
  6. Non patrocinare corsi evento, ma organizzare percorsi di sviluppo. Essere sponsor dello sviluppo dei propri collaboratori è il più importante lascito di un manager.
  7. Investire in modo marcato sul middle management. Il middle manager svolge il ruolo imprescindibile, nel processo di sviluppo dell’apprendimento collettivo, di orientatore degli atteggiamenti. Investire sul middle management significa ascoltarne le istanze, coinvolgerlo nella progettazione degli interventi, responsabilizzarlo nel ruolo di docente/divulgatore e di valutatore del merito.
  8. Spingere l’innovazione. Subissare di occasioni, stimoli e iniziative gli ospiti del “talent pool” per far scaturire da loro gli impulsi a produrre innovazione tecnica, organizzativa, di processo o gestionale.
  9. Misurare, riconoscere e premiare. Il merito riconosciuto è il motore delle carriere dei manager. Questo testimone va passato sempre: misurare, classificare, ordinare e, infine, riconoscere il merito.
  10. Operare con un’ottica di benchmark assidua, curiosa e originale. Assiduità e originalità nella ricerca dei riferimenti circa le migliori prestazioni consente di scovare le aziende eccellenti a cui ispirarsi. Avere curiosità e condividere le informazioni raccolte in un’ottica di crescita collettiva è l’ultimo passo per i manager verso l’eccellenza.