Donne-manager: nuovi spiragli con la crisi

di Luca Gianella

22 Giugno 2009 07:00

Tra i diversi inquietanti interrogativi che la nuova crisi finanziaria pone, alcune certezze sembrano rafforzare il ruolo della donna, sempre più destinata a ruoli di primaria importanza prima ricoperti dal genere maschile

Se lo volessimo chiamare con un eufemismo lo definiremmo atteggiamento paternalistico, se invece vorremmo ridefinire il tutto in termini realistici allora si dovrebbe parlare di puro maschilismo. Si tratta di quella stagnante situazione italiana che vede il ruolo femminile relegato, in termini di posizioni manageriali, a uno step inferiore rispetto alla versione maschile.

Una abitudine, diventata oggi quasi una prassi, che, a dispetto della meritocrazia, ha spesso negato alle donne, a priori, dei ruoli dirigenziali poiché poco compatibili con le priorità femminili. Probabilmente però alla fine della crisi economica questa situazione andrà rivista e ridefinita. Questo periodo di congiuntura infatti si potrebbe trasformare in un forte trampolino per le donne in carriera, non certo semplice speranza o illusione ma voce e pensiero di fior di economisti. Se infatti analizziamo attentamente quanto sta accadendo ci accorgiamo che il periodo di crisi sta interessando e riguardando molto più il genere maschile che quello femminile. Come ogni buona recessione, in Italia, come anche negli Stati Uniti, si è registrata una diminuizione dei lavoratori maschili a fronte di un, seppur minimo, incremento delle lavoratrici, stando ai dati ISTAT.

Dati avvalorati ancor più dalla Federmanager secondo la quale quando un dirigente lascia un’azienda, spesso, più specificatamente, nel 54% dei casi, viene rimpiazzato da una donna che ne assume le funzioni, senza tuttavia essere promossa. Ma perché ci si chiede allora gli uomini risentono di più della crisi? Forse perché sono coloro che, in media, giuadagnano di più, ma anche perché la recessione ha colpito soprattutto quella parte dei settori a maggiore rappresentanza maschile, come il mondo del credito.

A rinforzare questo nuovo spiraglio per le donne vi è un dato da non sottovalutare: le aziende a leadership femminile sono quelle che producono più fatturato e quelle che hanno delle performance economiche migliori. Ancor più, in tempo di crisi, secondo Daniela Bollino, amministratore delegato dell’azienda Key2people, le donne possiedono quelle caratteristiche intrinseche che le portano a superare le difficoltà: migliore istruzione, superiore predisposizione a motivare e sostenere il lavoro di team.

Il nuovo scenario che si viene a delineare vede quindi un numero sempre crescente di donne capo-azienda nelle PMI, dato destinato a crescere ed affermarsi ancor più se, quella che oggi è un’idea, e cioè che gli uomini siano più responsabili di una cattiva gestione aziendale, diventi una effettiva realtà.

«Le PMI italiane hanno ancora una prevalente vocazione maschilista – dice Giorgio Ambrogioni, direttore generale di Federmanager – ma piano piano cresce la consapevolezza dell’importanza di premiare e valorizzare le risorse professionali a prescindere dal sesso». Oggi viviamo in un sistema sociale e culturale che rende molto difficile, per una donna che non voglia rinunciare alla famiglia, fare carriera. Più si sale nella scala gerarchica più è difficile far convivere la sfera individuale con quella professionale. Per ora è ancora tutto da verificare ma i segnali per una riscossa femminile ci sono tutti: una degna rivisitazione del ruolo a livello manageriale che non per forza debba cozzare con l’idea di famiglia e di figli.