Si chiama Sheryl Sandberg, ha 42 anni e spetta a lei il lancio di Facebook in borsa. Chief operating officer (COO) del colosso dei social network, in altre parole direttore generale, rappresenta la seconda carica più importante all’interno del gruppo dopo Mark Zuckerberg, fondatore e CEO.
Una manager in gonnella che non solo ha convinto Wall Strett molto più del suo capo ventisettenne, ma sembra essere anche la più pagata tra tutti i pezzi grossi di Facebook: per lei si parla di un reddito annuo pari a oltre 30 milioni di dollari, contro il milione e mezzo di Zuckerberg.
Una laurea alla Harvard Business School ha procurato alla giovane Sandberg un incarico ai vertici di Google, nonché la gestione del team di lavoro presso il “Dipartimento del Tesoro” USA durante la presidenza di Bill Clinton, e infine un’amicizia consolidata con il presidente in carica Barack Obama. Dato il suo ruolo all’interno della holding di Facebook, inoltre, non stupirà apprendere che il suo nome compare nelle più celebri classifiche mondiali dedicate alle figure femminili più ricche e importanti: se Forbes l’ha collocata al quinto posto nella lista delle donne più influenti, per Fortune è la dodicesima donna d’affari più potente al mondo.
Per molti la Sandberg è l’incarnazione della donna manager ideale, soddisfatta del suo lavoro ma anche moglie e madre, in grado di portare al successo un gruppo come quello creato da Zuckerberg e, allo stesso tempo, attirare folte schiere di “seguaci” colpite dal suo percorso e dai suoi discorsi – molti dei quali pronunciati nel corso dei World Economic Forum – che esortano le giovani donne a lottare per la loro carriera a tutti i costi. Lo stesso pubblico femminile che, stando agli ultimi dati, rappresenta anche la maggioranza degli utenti Facebook: oltre la metà degli aggiornamenti di stato quotidiani, dei messaggi e delle foto, sono pubblicati sul social network proprio dalle esponenti del sesso debole.
Un messaggio, quello diffuso dalla Sandberg, che per alcuni suoi detrattori è fin troppo incentrato sulla necessità tutta femminile di puntare in alto senza guardare in faccia nessuno, sgomitando per arrivare al successo contando solo sulle proprie forze. Questa è la critica mossa, ad esempio, dalla presidente del “Center for Talent Innovation” e del “Gender and Policy Program” della Columbia University Sylvia Ann Hewett, che sottolinea come il percorso di Sheryl sia stato in qualche modo facilitato anche dal suo compagno di vita, l’imprenditore Daniel Goldberg, e dichiara: “Sono una grande fan del suo operato e penso che sia un modello in qualche modo positivo, ma penso anche che lei sia troppo critica nei confronti delle donne, perché è quasi come se condannasse coloro che non hanno abbastanza faccia tosta per cercare il successo. Penso che abbia avuto un percorso d’oro, e forse non può capire facilmente le lotte reali delle donne che hanno ambizione ma anche figli da crescere, senza un aiuto consistente nella loro vita”.