La manovra Monti ingrana la marcia indietro sui costi della politica. I tagli agli stipendi dei parlamentari escono dal provvedimento, e verranno decisi con una diversa procedura, da parlamento ed esecutivo, con iniziative che vengono definite «immediate» ma per le quali non sembra ci sia un termine preciso. E sul fronte delle province, slittano i termini per trasferire le funzioni a Regioni e Comuni.
Partiamo dagli stipendi dei parlamentari. Il decreto del governo prevedeva che l’esecutivo potesse intervenire con un apposito provvedimento d’urgenza nel caso in cui la commissione governativa per il livellamento retributivo all’Europa, che deve appunto individuare la media dei trattamenti economici dei parlamentari europei a cui allineare quelli italiani, non avesse terminato il proprio lavoro entro il prossimo 31 dicembre. Ma su questo si è aperta una sorta di conflitto istituzionale, relativo al fatto che un intervento, presumibilmente per decreto, del governo, intaccasse l’autonomia decisionale delle Camere. Risultato: lo stesso governo ha presentato un emendamento che corregge la norma prevista dall’articolo 23 comma 7 del decreto. La nuova regola stabilisce che «il parlamento e il governo, ciascuno nell’ambito delle proprie attribuzioni, assumono immediate iniziative idonee a conseguire gli obiettivi», che sono quelli previsti dal decreto legge 98 del 2011 (la manovra di luglio) secondo cui gli stipendi di chi ricopre cariche elettive e ruoli di vertice di enti e istituzioni pubbliche non possono superare la media degli analoghi trattamenti europei, ponderata rispetto al pil. Dunque, la modifica di oggi prevede che governo e parlamento intervengano con urgenza, ma mentre prima era fissato il termine del 31 dicembre dopo il quale il governo avrebbe immediatamente provveduto, ora non viene identificato un calendario preciso.
Sempre per quanto riguarda i costi della politica, sono salvi fine a fine mandato i gettoni di presenza di consiglieri di zona o delle comunità montane. Il decreto prevedeva che qualsiasi carica, ufficio o organo elettivo di un ente territoriale non previsto dalla Costituzione, fosse da intendersi a titolo onorifico, senza prevedere alcuna remunerazione, indennità o gettone di presenza. In base alla nuova formulazione, questa regola scatterà «a decorrere dal rinnovo degli enti». Coloro che sono in carica, dunque, manterranno i gettoni fino alla fine del proprio mandato.
E passiamo alla questione relativa alle province. Il decreto prevedeva di fatto quello che si può definire un deciso passo nella direzione dell’abolizione di questi enti: niente giunta, diminuzione del numero dei consiglieri (a un massimo di dieci), trasferimento di funzioni. Tutto questo è confermato, ma slittano i termini di applicazione: le funzioni delle province passano a Regioni e Comuni non più entro il 30 aprile 2012 ma entro il 31 dicembre, sempre dell’anno prossimo. Quindi, entro il successivo 31 marzo 2013 decadono gli organi in carica (giunte e consigli). Tutto questo, si legge nell’emendamento, per avere «un termine più congruo per gestire il mutamento normativo, confermando il livello statale di definizione dei meccanismi elettorali». Infine è prevista una disciplina transitoria per gli enti che scadono prima di questi termini, mentre vengono escluse da questa normativa le province autonome di Trento e Bolzano. Le Regioni a statuto speciale avranno invece sei mesi per adeguare i propri ordinamenti alle novità previste dalla manovra sulle province.
Infine, fra le novità delle ultime ore relative alla manovra, il capitolo liberalizzazioni: il governo ritira le norme relative ai tassisti, che nei giorni scorsi hanno protestato, mentre invece restano quelle sulle farmacie (liberalizzazione dei farmaci di fascia c): i farmacisti minacciano a loro volta una sciopero, per lunedì prossimo.