Pmi italiane: innovative o no?

di Francesca Pietroforte

Pubblicato 20 Gennaio 2012
Aggiornato 24 Marzo 2014 11:04

Report 2011 di Confindustria sulle Pmi sotto i 250 addetti: prevale il modello familiare ma la voglia di crescere e differenziarsi è in aumento.

Quanto sono proiettate le Pmi italiane verso un modello innovativo in grado di sfruttare le risorse più all’avanguardia? Ha provato a rispondere Confindustria, con il survey coordinato dal suo Centro Studi e condotto da Demos&Pi, per conto di Confindustria Piccola Industria, su 508 piccole e medie del Manifatturiero con meno di 250 addetti.

I risultati sono stati raccolti nel Report “Costruire il futuro – PMI protagoniste: sfide e strategie”.

Le Pmi in Confindustria sono piccole: in media, il 37% non supera i 20 addetti e il 32,7% non va oltre i 50. Il 38,7% ha un fatturato al di sotto di 5 milioni.

Modello familiare

Il quadro emerso è dei più esaltanti: se permane la spinta all’imprenditorialità infatti, le aziende tendono ancora a riferirsi in prevalenza alle risorse interne. Per quel che riguarda il passaggio generazionale, nodo centrale per la sopravvivenza delle imprese, il 55% mantiene la proprietà dell’azienda in famiglia e solo il 24% assumendo un manager che ne tuteli gli interessi. Solo il 10% è aperto a capitali esterni.

Come sottolineato da Gianluca Spina, presidente del Mip Politecnico di Milano, il dato è in linea con le aspettative, visto che la permanenza del modello familiare è inversamente proporzionale alla dimensione dell’azienda, e nel nostro Paese il numero di piccole imprese è decisamente elevato.

Crescita dimensionale

Mentre negli anni passati era maturata la convinzione secondo cui la crescita in termini dimensionale non fosse importante per un’azienda, oggi il 67,5% degli intervistati ritiene che sia importante per controllare meglio i mercati con reti commerciali.

Come si legge nel rapporto, «piccolo non è più tanto bello come una volta»: la crescita dimensionale diventa necessaria, anche in termini di conoscenza, governance e struttura aziendale.

Oggi solo il 13,4% è sottisfatto delle dimensioni della propria azienda. È avvenuto così che «il drappello di innovatori si sia sempre più staccato dal grosso del gruppo, dove si trovano molte piccole imprese. Molte Pmi hanno compiuto o stanno per compiere un salto culturale, ma molte ancora non l’hanno fatto».

Fattori di crescita

Come si fa a compiere il salto di qualità?
Anche in questo caso le idee sono chiare: per il 40% il fattore di successo della propria impresa risiede nella qualità del prodotto, per il 23,8% nel prezzo e per il 12,7% nel contenuto tecnologico.

I responsabili dell’analisi – Giancarlo Corò (Università Ca’ Foscari Venezia) e Paolo Gurisatti (Step e Demos&Pi) – evidenziano come l’innovazione di prodotto o di processo sia considerata la leva principale per crescere: il 90% delle Pmi ne è convinta; l’80% scommette anche sull’ingresso in nuovi mercati esteri; il 70% crede nell’inserimento di professionalità manageriali; il 60% negli investimenti nel marchio.

Passando dalla teoria alla pratica, il 74,4% del campione ha innovato prodotti o ne ha creati di nuovi negli ultimi cinque anni e per il 49,3% l ‘ investimento sarebbe potuto essere maggiore se non fosse stato per la crisi. Il 22,9% lamenta la scarsa propensione delle banche a sostenere economicamente i progetti.

Decisamente insufficiente l ‘ utilizzo della rete, che pure potrebbe rappresentare per la nostre Pmi una grande opportunità. Dalla lettura dei dati si scopre che solo il 14,3% del campione vende i propri prodotti su Internet, mentre il 10,2% compra materie prime e semilavorati e l ‘ 8,2 prodotti finiti.

E lo stesso vale per l ‘ internazionalizzazione, visto che solo il 23% del campione commissiona produzioni all’estero, l’11,8% ha costituito unità commerciali e appena il 7,2% unità produttive. Motivo di ciò potrebbe essere la scarsa propensione ad aggregarsi, e infatti il 54,6% esclude le aggregazioni.

Crescere conservando la propria autonomia non è facile, tanto più se non si accetta neppure l ‘ idea di aprirsi a capitali di investitori esterni.

Eppure, come sottolineato da Gianluca Spina, «l’ingresso di capitali esterni può avere successo se si accompagna alla valorizzazione del patrimonio di informazioni e di conoscenze di chi ha guidato l ‘ impresa nel tempo».

Peccato che solo il 29,8% ha introiettato nuovi capitali per l’impresa, pregiudicando la propria possibilità di crescita sia perché, come sottolineato nel report, «la maggior parte dei piccoli imprenditori ha affrontato il periodo recente con un atteggiamento passivo», sia perché esistono freni allo sviluppo, come la domanda insufficiente (secondo il 48,5% del campione), la mancanza di capitali (per il 47,9%) e gli ostacoli burocratici (per il 27,8%).

Scarica il Report – “Costruire il futuro – PMI protagoniste: sfide e strategie”