Due referendum per cambiare le regole sui licenziamenti

di Barbara Weisz

22 Gennaio 2025 09:00

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I referendum sulle tutele nei licenziamenti ammessi dalla Consulta chiedono il ritorno all'Articolo 18 e indennizzi risarcitori senza più limitazioni.

Tra i quesiti del referendum dichiarati ammissibili dalla Corte Costituzionale ce ne sono due che mirano a modificare l’attuale disciplina dei licenziamenti, nelle piccole e grandi imprese. Il primo chiede l’abolizione del contratto a tutele crescenti, ripristinando la tutela dell’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori per gli assunti a tempo indeterminato nelle aziende sopra i 15 dipendenti. Il secondo elimina il tetto massimo di sei mensilità per i risarcimenti in caso di licenziamento illegittimo nelle piccole aziende.

Vediamo con precisione quali sono le normative di rifermento e come sono formulati i quesiti referendari, entrambi proposti dalla Cgil.

Il referendum per il ritorno all’Articolo 18

Il primo quesito dichiarato ammissibile per il referendum chiede l’abrogazione del Dlgs 23/2015 (in attuazione del Jobs Act) “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza.

Si tratta della legge che ha introdotto il contratto a tutele crescenti per il lavoro dipendente a tempo indeterminato in aziende con oltre 15 dipendenti per tutti coloro che sono stati assunti successivamente al 7 marzo 2015, al posto delle tutele previste dall’Articolo 18 della Legge 300/1970, a cui si chiede ora il ritorno.

Il contratto a tutele crescenti prevede oggi che, a fronte di un licenziamento per giusta causa o giustificato motivo oggettivo, il lavoratore abbia diritto a un’indennità pari a due mensilità per ogni anno di servizio. Il risarcimento non può essere inferiore a 6 mensilità ma neppure superiore a 36 stipendi.

L’unico caso in cui è previsto il reintegro nel posto di lavoro è l’insussistenza del fatto materiale, accertato dal giudice, che quindi dichiara nullo il licenziamento. Le altre fattispecie in cui continua a poter essere applicato il reintegro sono il licenziamento discriminatorio o riconducibile a casi di nullità previsti dalla legge.

La norma prevede poi altre regole, ma gli aspetti che il referendum si propone di contrastare sono quelli sopra esposti.

Come cambierebbe il Jobs Act dopo il referendum

La Cgil, promotrice del referendum, sottolinea che la vittoria del sì, abrogando il contratto a tutele crescenti, comporterebbe il ritorno alla precedente legislazione sui licenziamenti illegittimi, ovvero l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che si applica alle imprese oltre i 15 dipendenti e prevede il reintegro nel posto di lavoro, oltre a un risarcimento.

Come cambierebbe la legge con la vittoria del sì? Resterebbero le modifiche apportate con la Riforma del Lavoro Fornero, (Legge 92/2012) che non prevede il reintegro nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (motivi economici) mentre continua a sancirne l’applicazione se la perdita involontaria del lavoro avviene per motivi disciplinari (con altre fattispecie che rappresentano un’eccezione).

In ogni caso, abolendo le tutele crescenti si tornerebbe a quelle dell’articolo 18 per tutti i contratti a tempo indeterminato, nei casi di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo.

Sparirebbe quindi l’attuale doppio binario che lega le tutele alla data di assunzione a tempo indeterminato (precedenti o successive al 7 marzo 2015) con riferimento alle imprese sopra i 15 dipendenti (per le altre, si applicano disposizioni normative differenti).

Il referendum sui licenziamenti nelle piccole imprese

Il secondo quesito riguarda i licenziamenti individuali e chiede di modificare le regole applicabili nelle piccole imprese fino a 15 dipendenti, eliminando il tetto massimo di 6 mensilità al risarcimento previsto all’articolo 8 della Legge 604/1966.

Questa norma prevede che al lavoratore ingiustamente licenziato spetti il reintegro nel posto di lavoro o un risarcimento compreso fra 2,5 e 6 mensilità. Questa indennità può arrivare a 10 o 14 mensilità con l’aumentare dell’anzianità di servizio (sempre limitatamente alle aziende oltre i 15 dipendenti).

La proposta di modifica referendaria modificherebbe la regola nel seguente modo:

quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un’indennità di importo minimo di 2,5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti.

In parole semplici, sarebbe eliminato il vincolo sul risarcimento massimo di 6 mensilità nelle aziende sopra i 15 dipendenti. Questo, spiega la Cgil, consentirebbe al giudice di stabilire l’entità del risarcimento senza limitazioni.