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Smart working dall’estero senza agevolazione impatriati

di Anna Fabi

5 Ottobre 2021 10:00

Per le agevolazioni fiscali degli impatriati rileva la sede di lavoro per almeno 183 giorni l'anno, anche in smart working: interpello Agenzia Entrate.

Per il diritto alle agevolazioni dei lavoratori impatriati in smart working (per esempio, durante i periodi di lockdown Covid) rileva il luogo in cui è svolta prevalentemente la prestazione lavorativa. Quindi, se viene svolta dall’estero, non spetta il beneficio per il rientro dei cervelli. In ogni caso, si applicano le convenzioni contro le doppie imposizioni previste per i diversi stati esteri.

E’ la risposta a un interpello dell’Agenzia delle Entrate, 621/2021, che riguarda il caso di un  dipendente di una multinazionale italiana, che durante il Covid ha prestato attività in remote working dal paese d’origine. Si tratta di un provvedimento di prassi sulla fiscalità che si può estendere ai casi di smart working dall’estero, o in Italia per un’azienda estera.

=> Rientro cervelli, tasse agevolate anche in smart working

Il caso riguarda un dirigente assunto in Italia ma che nel 2020 ha lavorato dall’Olanda (in smart working obbligatorio, causa Covid) per più di 183 giorni. L’agevolazione prevista dall’articolo 16, comma 1, del dlgs 147 del 2015, spiega il Fisco, risulta applicabile ai soli redditi che si considerano prodotti nel territorio dello Stato.

L’articolo 23 del Testo unico imposte sui redditi considera però prodotti in Italia i redditi di lavoro dipendente o autonomo se prestati nel territorio dello Stato, anche se remunerati da un soggetto estero. Il luogo della prestazione lavorativa, nel caso di smart o remote working, è quello in cui il lavoratore dipendente è fisicamente presente quando esercita le attività per cui è remunerato.

In sintesi, come previsto dalla circolare 17/2017, per il requisito sull’attività lavorativa svolta prevalentemente nel territorio dello Stato, si applica il DM 26 maggio 2016 (articolo 1, comma 1, lettera c), in base al quale il requisito deve essere verificato in relazione a ciascun periodo d’imposta e risulta soddisfatto se l’attività lavorativa è prestata nel territorio italiano per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco dell’anno.

Quindi, nel caso in questione, il Fisco ritiene che non sia applicabile il regime speciale impatriati, perché non è soddisfatto il requisito relativo all’attività lavorativa nel territorio dello stato per almeno 183 giorni. Si applica però il credito per le imposte estere in base all’articolo 165 del TUIR, testo unico imposte sui redditi.

Il regime fiscale impatriati, lo ricordiamo, consente di abbattere l’imponibile fiscale al 30% per cinque anni a lavoratori che rientrano in Italia dopo almeno due anni passati all’estero, e si impegnano a restarci per almeno due anni.