Pur in via sperimentale, la previsione dell’indennizzo per ritardi della PA sembra convincere sempre meno perfino i suoi più fervidi sostenitori. Le motivazioni sono d’altronde ben supportate dall’evidenza delle prassi burocratiche, e sarebbe opportuno che sul tema vi fosse un nuovo intervento correttivo da parte del legislatore, il cui intento è sicuramente meritevole: l’impresa che ha presentato una pratica alla pubblica amministrazione deve ricevere un riscontro nei tempi previsti dalla legge; diversamente l’ente sarà obbligato a indennizzarla monetariamente (ferma restando la possibilità di agire per risarcimento del danno).
Fin qui, i lati positivi. Non mancano tuttavia i punti deboli, a cominciare dalla forfettizzazione dell’importo su soglie molto basse e, in ogni caso, non superiori a 2mila euro: un tetto raggiungibile solamente se il ritardo si protrae per due mesi, e oltre il quale non vi sono particolari aggravi per la stessa pubblica amministrazione. A ulteriore deterioramento delle intenzioni del legislatore segnaliamo i termini particolarmente stringenti per poter domandare l’indennizzo: la procedura non è automatica, ma prevede che l’impresa “lesa” dal ritardo della pubblica amministrazione si attivi prontamente per inviare sollecito formale all’ufficio, entro 20 giorni dal termine di conclusione del procedimento (pena decadenza). Infine, si noti che l’indennizzo spetta per il momento alle sole imprese, e che non spetta per i procedimenti che sono attivati di ufficio e quelli ad istanza di parte nei casi di silenzio assenso o silenzio rigetto, nè per i concorsi pubblici. => Vai al decreto debiti PA