Autonomo o impresa: come mettersi in proprio

di Nicola Santangelo

Pubblicato 16 Novembre 2016
Aggiornato 17 Novembre 2016 14:08

Lavoro autonomo, collaborazione, ditta individuale, impresa familiare: i distinguo necessari prima di avviare un'attività.

 

pianificazione - lavoroPer superare le incertezze del mercato del lavoro avviando un’attività indipendente, dopo aver valutato attentamente il rischio d’impresa vediamo come mettersi in proprio partendo da zero. Per cominciare, bisogna scegliere fra due strade: lavorare con contratti di collaborazione o aprire partita IVA.

Si può definire lavoratore autonomo occasionale chi si obbliga a compiere, dietro corrispettivo, un’opera o servizio con lavoro prevalentemente proprio, senza vincoli di subordinazione, né di coordinamento del committente e in via del tutto occasionale. Tali figure hanno completa autonomia circa i tempi e le modalità di esecuzione del lavoro.

Gli autonomi occasionali hanno obbligo di iscrizione alla Gestione Separata INPS nel caso conseguano redditi fiscalmente imponibili superiori a 5.000 euro nell’anno solare (somma di compensi da tutti i committenti occasionali). Quelli da lavoro autonomo occasionale sono classificati fra i “redditi diversi”, ai sensi dell’art. 67, comma 1, lettera l del TUIR.

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Le collaborazioni occasionali sono prestazioni di breve durata (30 giorni) e modesto importo (massimo 5.000 euro nell’anno solare con lo stesso committente). Conservano i requisiti delle vecchie collaborazioni coordinate e continuative anche sotto il profilo giuridico e previdenziale. Pertanto, ai sensi della Legge n. 335 del 1995, si iscrivono alla Gestione Separata qualunque sia la durata e l’importo (la base imponibile per il calcolo del contributo della Gestione Separata è individuata con le stesse regole dettate dal Fisco per l’individuazione dell’imponibile Irpef).

La forma più semplice e comune per avviare un’impresa è la ditta individuale: è la più facile da aprire dal punto di vista burocratico e la meno onerosa dal punto di vista economico. L’imprenditore, responsabile della gestione, assume in nome proprio le obbligazioni derivanti dall’attività e partecipa al rischio d’impresa con il patrimonio personale. La costituzione avviene tramite apertura della Partita IVA e iscrizione, entro trenta giorni, presso il Registro delle Imprese della Camera di Commercio della provincia in cui è fissata la sede legale. L’imprenditore può avvalersi della collaborazione di personale dipendente o dei propri familiari. In quest’ultimo caso si darà vita ad un’impresa familiare.

Nell’impresa familiare, oltre al titolare partecipano in mondo continuativo e prevalente (requisito di “non occasionalità”) più familiari (coniuge, parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo) con diritto: a partecipare agli utili dell’impresa (ma non alle perdite); a intervenire nelle decisioni inerenti l’impiego degli utili e l’incremento del patrimonio aziendale: a partecipare alle decisioni di gestione straordinaria e alla cessazione dell’azienda; di prelazione in caso di cessione dell’azienda.

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L’imprenditore deve rimanere assegnatario di almeno il 51% degli utili mentre le quote spettanti a tutti i collaboratori familiari non possono superare il 49% degli utili conseguiti dall’impresa. Il titolare, in caso di insolvenza, è l’unico soggetto passibile di fallimento. I collaboratori familiari non possono svolgere in modo continuativo un’attività di lavoro dipendente, autonomo o d’impresa. La costituzione dell’impresa familiare deve avvenire per atto pubblico o scrittura privata autenticata. Entro trenta giorni dalla stipula dell’atto occorre provvedere all’iscrizione nel Registro Imprese presso la Camera di Commercio della provincia in cui l’impresa ha sede legale.