Potrebbe risolversi positivamente per Google la querelle legale che vede la società del motore di ricerca contrapposta al brand Moet Hennessy Louis Vuitton (LVMH) e ad alcuni altri marchi. Un consulente della Corte di giustizia dell’Unione Europea si è infatti espresso a favore di Mountain View e del suo sistema per l’advertising che consente agli inserzionisti di utilizzare i nomi dei brand non di loro proprietà come parole chiave.
Il parere del legale non è vincolante, ma secondo numerosi osservatori dovrebbe essere sufficiente per indurre la Corte a chiudere il caso, respingendo di fatto le accuse mosse da LVMH. Insieme ad altre società, il celebre marchio del lusso aveva messo in campo una serrata battaglia legale nei confronti del colosso delle ricerche online, accusato di mettere a repentaglio il valore dei brand e di favorire la vendita di materiale contraffatto.
Una tesi fortemente respinta da Google, che aveva rivendicato il diritto di consentire ai propri inserzionisti di utilizzare i nomi dei marchi come keyword per la costruzione delle loro campagne di marketing sulle pagine dei risultati del motore di ricerca. Della medesima idea sembra essere ora anche Luis Miguel Poiares Pessoa Maduro, il consulente della Corte, che ha sottolineato come i proprietari dei brand non possano rivendicare «un diritto assoluto per il controllo dei loro marchi di fabbrica» sul Web.
Secondo l’esperto legale chiamato dalla Corte di giustizia europea per la consulenza tecnica, le pratiche tese a impedire utilizzi impropri dei trademark online non devono portare a un divieto in assoluto di utilizzare i nomi dei marchi di fabbrica in Rete. Le keyword possono essere dunque acquistate anche da terzi interessati a farsi pubblicità nelle pagine dei risultati, magari offrendo un link verso il loro store online nel quale è possibile acquistare un prodotto con un determinato marchio. Tale pratica, che vede responsabile anche Google poiché eroga il servizio AdWords, può dunque essere svolta a patto che non violi o danneggi la reputazione dei brand in questione.
Le opinioni espresse nella consulenza da poco messa a disposizione della Corte sono state accolte con favore dalla società di Mountain View. «Crediamo che selezionare una parola chiave per facilitare la visualizzazione di una inserzione pubblicitaria non costituisca la violazione di un marchio di fabbrica, crediamo inoltre che i consumatori possano trarre beneficio nell’ottenere un maggior numero di informazioni rilevanti. Crediamo anche che i consumatori siano intelligenti e non si confondano quando vedono una varietà di annunci pubblicitari in risposta alle loro ricerche online» ha dichiarato Harjinder Obhi, legale di Google.
Lo spinoso caso delle keyword e dei trademark era stato portato all’attenzione della Corte di giustizia da un tribunale francese, alla ricerca di indicazioni chiare sulle norme da applicare per giudicare la condotta del motore di ricerca. In seguito agli ultimi sviluppi, un pronunciamento in sede europea per dirimere definitivamente la questione non dovrebbe tardare ad arrivare. Nell’attesa, Google ha temporaneamente sospeso la funzione di AdWords per l’acquisto delle keyword legate ai marchi di fabbrica in numerosi paesi europei.
I promotori della causa legale nei confronti del famoso motore di ricerca guardano ora alla Corte europea, che a sorpresa potrebbe anche decidere di non prendere in considerazione le opinioni non vincolanti fornite dal proprio consulente. Una speranza labile, supportata però da alcune precedenti prese di posizione dell’importante istituzione, tradizionalmente molto cauta sul fronte della tutela dei marchi di fabbrica e dei consumatori.