Neutralità della rete: cosa cambia per Internet e servizi?

di Alessandro Longo

Pubblicato 7 Aprile 2014
Aggiornato 10 Luglio 2017 16:45

Neutralità della rete oltre la libertà di Internet: quadro normativo europeo, nuovi paletti per gli operatori, analisi delle dinamiche di mercato e prospettive sullo sviluppo di servizi innovativi.

Al Parlamento europeo hanno vinto i sostenitori della neutralità della rete, ma la battaglia fa parte di una guerra che di certo non finisce qui. Per almeno due motivi, uno contingente e l’altro strutturale: dopo il primo sì, il testo di legge deve passare a giugno dal Consiglio UE, e comunque gli operatori telefonici e over the top andranno in cerca di nuovi equilibri di mercato sostenibili nei prossimi anni, quando la banda ultra larga dovrebbe coprire oltre il 50% della popolazione.

Internet e servizi: confini chiari

Tutto è partito da una proposta della Commissione Europea: nel pacchetto di regole volto a creare un Mercato Unico delle TLC (comprensivo dell’abolizione di sovrapprezzi di roaming dal 2016), c’è anche la prima regolamentazione UE della neutralità della rete. Il testo della Commissione ha subito emendamenti sostanziali ma l’aspetto di fondo è restato, con la divisione tra open Internet e “servizi specializzati”.

  • Le regole della neutralità della rete valgono solo per l’Internet normale, dove gli operatori sono obbligati a trattare in modo uguale tutto il traffico, di tutti i servizi.
  • I servizi specializzati, invece, frutto di accordi tra operatori e over the top, potranno viaggiare su una corsia a parte, a velocità garantita.

È una novità perché finora non c’è stato niente del genere. Gli over the top riescono a migliorare la qualità dei propri servizi grazie ad accordi con content delivery network (tipo Akamai), che però – a differenza degli operatori – non possono creare una via a qualità garantita fino all’utente finale.

Tutele

Gli emendamenti approvati in extremis sono dei parlamentari del centro sinistra e cambiano sostanzialmente la portata della legge mettendo dei paletti tra il concetto di normale Internet (open) e servizi specializzati, definendoli con precisione. Tanto che le associazioni di attivisti  pr-neutralità applaudono alla legge, che prima criticavano sostenendo che i due concetti erano confusi, con il rischio che i servizi specializzati cannibalizzassero la normale Internet. Ora, il testo definisce la neutralità così:

“the principle according to which all internet traffic is treated equally, without discrimination, restriction or interference, independently of its sender, recipient, type, content, device, service or application”.

Un servizio specializzato, che non potrà essere offerto o utilizzabile come un sostituto al servizio di accesso a Internet, è invece:

“an electronic communications service optimised for specific content, applications or services, or a combination thereof, provided over logically distinct capacity, relying on strict admission control, offering functionality requiring enhanced quality from end to end, and that is not marketed or usable as a substitute for internet access service”.

Qualità

La precauzione più forte è a favore di Internet così come lo conosciamo:

“Providers of internet access, of electronic communications to the public and providers of content, applications and services shall be free to offer specialised services to end-users. Such services shall only be offered if the network capacity is sufficient to provide them in addition to internet access services and they are not to the detriment of the availability or quality of internet access services. Providers of internet access to end-users shall not discriminate between functionally equivalent services and applications”.

Significa: operatore, vuoi offrire servizi specializzati? Può farlo solo se hai abbastanza capacità di rete sulla normale Internet e quindi non a discapito di questa. Inoltre quei servizi non devono andare più veloci di altri “funzionalmente equivalenti”.

Servizi innovativi

Insomma, dovrebbero essere proprio servizi innovativi mai visti prima, molti dei quali impossibili sulla normale Internet (“best effort”), di qui il bisogno di una corsia preferenziale a qualità garantita. Ma se mai ci saranno servizi innovativi non replicabili sulla normale Internet best effort, forse saranno di ultra-nicchia e mai daranno abbastanza ricavi agli operatori. Del resto, se fossero replicabili su best effort, forse altererebbero la normale apertura di Internet, dove nessun servizio può avvantaggiarsi sugli altri grazie ad accordi speciali con gli operatori per una qualità garantita.Gli operatori di solito a questo argomento replicano dicendo che già ora le grosse aziende hanno un vantaggio sulle startup grazie alle content delivery network o ai propri grossi datacenter. Internet non sarebbe da tempo, quindi, un campo dove tutti giocano alla pari, senza rendite di posizione. Tuttavia, la grossa incognita è se gli operatori hanno ragione e servono servizi su una rete a qualità garantita… o se stanno usando strumentalmente questo argomento per riuscire a far pagare gli over the top per l’utilizzo della loro rete.

Internet dei servizi

Google, nei tavoli con Telecom Italia, continua a ribadire che le basta il best effort (addizionato di accordi con le content delivery network), quindi non ci pensa nemmeno a pagare per accordarsi con gli operatori. Tanto che la proposta della Commissione, prima degli emendamenti, voleva imporre agli over the top questi accordi. D’altro canto, Telecom (con gli altri grandi operatori europei e americani) continua a sostenere che si debba passare a un altro modello di Internet, diverso da quello in cui le reti sono tubi dove far passare i contenuti o servizi degli over the top.

Occorre passare a una “Internet dei servizi”, basata su una maggiore intelligenza di rete, acquistabile – a diversi livelli – dagli over the top. Sarebbe una Internet in grado di riconoscere utilizzatori, contenuti, oggetti e ambienti e adeguare dinamicamente configurazioni, velocità, tempi di latenza, sicurezza, privacy.
Questa evoluzione sta a cuore degli operatori chiamati a grossi investimenti in una rete a banda ultra larga, per puntellare il proprio modello di business.

In Italia, in particolare, i ricavi delle reti fisse e mobili sono in calo. Non solo: continua l’emorragia di linee fisse, il che riduce i margini di ritorno per gli operatori che investono in reti fibra ottica. Chi ha già abbandonato la rete fissa, infatti, difficilmente torna indietro per passare alla fibra. La via desiderata dagli operatori al momento sembra molto in salita, dopo il voto europeo, al netto di possibili (improbabili) ribaltamenti in sede di Consiglio UE.

Negli USA la situazione è più incerta: l’authority TLC (FCC) sta ancora rimettendo le mani alla regolamentazione per la neutralità della rete, dopo che quella precedente è stata bocciata da una Corte d’Appello. I numeri del mercato ci dicono però che sono soprattutto gli operatori europei ad aver bisogno di nuove fonti di ricavo. Le alternative non sono numerose. O trovano nuovi modi per guadagnare oppure smetteranno di investire nelle nuove reti (a danno di tutti); oppure – terza possibilità – alcuni operatori non ce la faranno più a stare sul mercato e saranno acquistati da colossi (anche non europei). A rischio in questo caso sarebbero la concorrenza e il valore delle reti intese come asset nazionale da sviluppare negli interessi di un Paese.

Come si vede, la questione della neutralità è parte di un disegno più grande, che comprende non solo la libertà di internet ma anche lo sviluppo dell’innovazione ed equilibri economico-politici. Per questo va maneggiata con cautela.