C’è anche un particolare curioso: fra il materiale acquisito c’è anche la memoria di un portatile del sindaco, Nevio Zaccarelli, che gli agenti hanno riversato su una chiavetta. Ma il primo cittadino, in realtà, è completamente estraneo all’indagine, semplicemente il suo pc era stato utilizzato da molte altre persone in municipio, e dunque scaricare il suo contenuto è stato un “atto dovuto”.
Esposti i fatti, e sottolineata la prudenza che deve accompagnare un’indagine in corso, resta un interrogativo: navigare in internet o su Facebook nelle ore d’ufficio per un dipendente pubblico puo’ essere considerato un reato? Fra l’altro, sorgono spontanei degli interrogativi: l’amministrazione, se è contraria, non dovrebbe piuttosto bloccare l’accesso ai siti sgraditi? Non si configurano da parte dell’azienda, in caso di controlli e addirittura sanzioni, violazioni della privacy?
Il dibattito è aperto. Si è già verificato che dipendenti abbiano avuto problemi a causa di Facebook, in Italia e all’estero (ma questa è la prima volta che la questione riguarda dipendenti pubblici accusati di peculato). Nella maggior parte dei casi, pero’, a fare scattare i richiami erano le opinioni, negative sull’azienda, che i lavoratori postavano sul social network. Fra i primissimi casi, nel 2009, quello di una teen ager, Kimbelry Swann, licenziata da una società di logistica britannica per aver definito noioso il proprio lavoro. [<<< Pagina precedente]