Amartya Sen: la crisi? Un’opportunità

di Liliana Adamo

4 Novembre 2011 08:00

Per il Nobel Amartya Sen, le politiche per la ripresa dovrebbero rafforzare la democrazia, in una fase che si ponga in modo differente dalla crescita.

Il premio Nobel 1998 per l’economia, l’indiano Amartya Sen, è diventato un leader e un punto di riferimento, oltre che un portabandiera che ha osato immaginare (e studiare) una concreta alternativa al neoliberalismo, all’impoverimento delle risorse a beneficio di pochi e a danno di molti.

E’ stato lui l’ideatore (insieme al collega pakistano, Mahbub ul Haq e per conto delle Nazioni Unite) di un nuovo misuratore del prodotto interno lordo, che quantifica “la ricchezza delle nazioni” – secondo l’asserto di Adam Smith – non sul denaro e le attività produttive, ma su ben altri parametri: indice d’alfabetizzazione, livello di democrazia, il grado di scolarizzazione, libertà d’accesso ai mezzi d’informazione, assistenza sanitaria e, in generale, l’espansione del benessere. L’acronimo è Hdi, indicatore di sviluppo umano, che subentra al Pil, emblema di un’economia di mercato, a tal punto obsoleta da poter essere superata in termini di qualità piuttosto che di quantità.

A più riprese presente in Italia (indicativo il suo appassionato intervento al meeting dell’Economia tenuto a Trento nel giugno scorso), è l’ispiratore della “finanza etica”, di uno sviluppo che non coincide più con l’aumento del profitto e del reddito, ma si attesta su concetti legati a giustizia e “qualità della vita“. Nessun pregiudizio, né buonismo di facciata, l’analisi di Sen è autorevole e rivoluzionaria, al di là della “potente retorica dell’uguaglianza” e del modello (anacronistico) per un welfare economics, concepito esclusivamente sul benessere materiale.

Per Sen, gli individui non sono tutti uguali ma detentori di un’eterogeneità (inequality) e dunque l’ambizioso progetto egualitario si scontra “in presenza di una robusta dose di preesistente disuguaglianza”, un divario tra un individuo e un altro che trae origine da variabili focali, come felicità, reddito, ricchezza. Interrogarsi sull’uguaglianza significa rivolgersi a quegli aspetti peculiari della vita che dovrebbero essere costanti.

Il benessere delle società è altresì una questione di giustizia; un assioma che non può essere scisso anche in tempi di crisi, quando la finanza va a rotoli e le borse precipitano: “Non possiamo accettare soluzioni che per motivi di bilancio, per salvare il vecchio ordine, impongano nuove ingiustizie…”.

Le buone politiche economiche a sostegno della ripresa saranno quindi valutate se riusciranno a rinsaldare quelle condizioni di libertà democratiche, essenziali per un’autentica “qualità della vita”.

Considerare, in fin dei conti, la crisi come un’opportunità, un doloroso processo per sanare l’economia e le società, con la possibilità d’apportare quelle modifiche a lungo termine che possano aiutarci a migliorare le nostre vite. Con una più ampia visuale, s’intende.